La favola di Brindisi, la Cenerentola nata al Sud

La favola di Brindisi, la Cenerentola nata al Sud

di Marino Petrelli

Francesco Vitucci, l’allenatore della Happy Casa Brindisi, alla vigilia della partita contro Milano era stato chiaro: andiamo a giocare contro l’orso grizzly, grande e grosso, e tocca a noi difendere la foresta. La metafora aveva reso bene l’idea di quanto la partita tra la prima e la seconda in campionato sarebbe potuta essere impari. Almeno sulla carta, perché sul campo Brindisi ha giocato una partita perfetta, soffrendo quando c’era da soffrire, aggredendo quando c’era da aggredire e piazzando i colpi vincenti in un finale punto a punto quando l’Olimpia avrebbe potuto sfruttare l’inerzia e l’onda lunga della sua profondità. Invece, la New Basket passa al Forum, come la passata stagione quando gli “eroi” di serata furono Stone, Brown e Banks, ma questa volta il “game, set and match” vale anche il primato in classifica. Con nove successi consecutivi in campionato (sarebbero dieci se i due punti contro Roma non fossero stati tolti per l’esclusione della Virtus dal campionato) e una voglia di stupire anche in Champions League, dove Brindisi ha ottenuto due vittorie su tre partite. In pratica, dal 27 settembre ad oggi i pugliesi hanno perso soltanto a Venezia alla prima di campionato, contro i campioni di Italia in carica, e a Burgos contro i campioni di Champions in carica. Per il resto, una “Nona” di Beethoven e un direttore d’orchestra, Vitucci, che in città tutti chiamano fraternamente Frank e che di musica se ne intende, espertissimo di jazz, musica classica e provetto suonatore di chitarra. 
LA PRIMA VOLTA
Dunque, la “Stella del Sud”, come la squadra viene chiamata da quando nel 1981 fu promossa per la prima volta in serie A e allora unica squadra meridionale, vola lassù in alto, dove osano le aquile. 
Simone Giofrè, il direttore sportivo che ha fatto tanto bene anche a Varese e Roma, va a pescare giocatori semi sconosciuti alla grande platea ma capaci di diventare grandi. È il caso di D’Angelo Harrison, nato in Alaska, e arrivato dopo una finale scudetto giocata in Israele chiusa con 31 punti realizzati.

Un “top scorer” da quasi 19 punti a partita e oltre 190 tatuaggi. Oppure Derek Willis, nativo americano, discendente da ben tre tribù di pellerossa. E ancora Nick Perkins, gigante buono pescato in Giappone, che quando scende in campo tanto buono per gli avversari non lo è. Poi gli italiani, da capitan Zanelli, alla terza stagione a Brindisi, a Visconti e Udom, arrivati dalla A2 ma già ben inseriti, fino a Raphael Gaspardo, che ha esordito in Nazionale qualche settimana fa nella bolla di Talliin. Un gruppo vincente in campo e fuori. E una società guidata da quasi dieci anni dalla famiglia Marino: papà Nando è il presidente, appassionato e super tifoso, Tullio, suo figlio, che ha fatto le ossa proprio in casa Olimpia Milano per poi mettere in pratica a Brindisi nuove strategie di marketing e comunicazione social, aiutato in questo dall’addetto stampa Stefano Rossi Rinaldi, E se Milano traina i ricavi della serie A, Brindisi in epoca pre pandemia era tra le più forti al botteghino, con quasi tremila abbonati in casa (il vecchio Pala Pentassuglia, dedicato a uno dei padri storici della pallacanestro brindisina, ne può contenere 3500) e presenze oceaniche nelle ultime due finali di Coppa Italia. Il nuovo palasport da quasi seimila posti ha avuto il via libera, la passione di Brindisi e di una regione intera vuole volare ancora più in alto. Intanto si gode il primato. La foresta è ancora da presidiare e difendere.


Ultimo aggiornamento: Martedì 15 Dicembre 2020, 09:30
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