La sfida di Laurel, prima trans alle Olimpiadi

La sfida di Laurel, prima trans alle Olimpiadi

di Piero Mei

Laurel Hubbard, atleta neozelandese del sollevamento pesi, ai prossimi Giochi di Tokyo farà la storia dello sport. Per il momento fa la miccia della polemica. Perché Laurel fino a otto anni fa, nel 2013, quando lei ne aveva 35, si chiamava Gavin ed era un uomo. Un sollevatore di pesi di scarso livello. Da quando ha effettuato la transizione a donna, invece, è diventata di altissimo livello: medaglie mondiali, ai Giochi del Pacifico e del Commonwealth e adesso la qualificazione olimpica. Così sarà la prima transgender, almeno tra quelle ufficialmente certificate come tali, a partecipare alle Olimpiadi e con accreditate possibilità di medaglia: nella sua categoria, che è quella dei superpesanti, atleti di stazza superiore agli 87 chili, è quarta nel ranking mondiale. Potrà finire sui libri come la baronessa svizzero-americana Hélène de Pourtalès, velista che fu la prima donna olimpica e anche d’oro a Parigi 1900. 
L’ALTRA
Per la verità c’è già anche un’altra transgender potenzialmente qualificata prima ancora di Laurel: è la statunitense Chelsea Wolfe, nella disciplina ciclistica della BMX freestyle. Quinta ai mondiali, la 26enne ragazza della Florida è in preallarme come riserva delle altre due americane che l’hanno preceduta il giorno del campionato iridato. Laurel Hubbard, che sarà anche la meno giovane tra le concorrenti per il prossimo oro nella sua categoria, è perfettamente in linea con i regolamenti sportivi in vigore dal 2015. Fino ad allora (e dal 2003) il Comitato Internazionale Olimpico aveva permesso la partecipazione soltanto a quelle donne che avessero completato la transizione anche con l’intervento chirurgico oltre che con massicce e invasive terapie ormonali. Ma poi aveva stilato una normativa: le trans possono partecipare allo sport femminile anche a transizione non completata purché il livello di testosterone si mantenga per un anno precedente l’evento al di sotto di un certo livello (10 nanomoli per litro) e purché si impegnino a nessuna retromarcia, quanto meno sportiva, nei successivi quattro anni. 
POLEMICA
La Hubbard è nel limite, ma già questo è elemento di polemica, non per lei ma per l’esistenza stessa di un confine, con l’eterna discussione che riguarda i “frontalieri”: 9,9 o 10,1 tema di discussione. Ancora di più, visto che non ci si può appellare a nessun favoritismo poiché la Hubbard ha i punteggi necessari indicati dalla Federazione internazionale, la polemica si è catapultata sui “risvolti”, già alle prime avvisaglie. Perfino la grande ex campionessa di tennis, Martina Navratilova, che fu ai suoi tempi paladina dei diritti LGBT, si è schierata contro l’ammissione delle transgender, nell’ambito dell’uomo-donna e non viceversa, nello sport femminile: ha sostenuto, come del resto hanno fatto e fanno alcuni scienziati (non c’è il virus della concordia neppure sul virus), che la pubertà maschile favorisce una maggiore densità ossea e muscolare negli individui, che possono successivamente sfruttare, da donne, le conquistate doti di forza e potenza. Il sospetto c’è, le misurazione scientifiche meno. Il maschio corre e nuota più velocemente e salta più in alto e in lungo della femmina: parità non c’è. Ma allora anche con le fibre di Bolt e le braccia di Phelps e altri maschi dicono i “conservatori”. Laurel dice: «Il mondo sportivo non era pronto dieci anni fa, quando ho fatto la mia transizione, forse non lo è ancora». Togliere il forse? 
Piero Mei
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Ultimo aggiornamento: Martedì 22 Giugno 2021, 07:30
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