Djokovic, l'esenzione "misteriosa" per gli Australian Open e il trucco: «Gioco da No vax»

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di Vincenzo Martucci

Lo chiameremo “Novax Djocovid”. Bastava sostituirgli qualche sillaba, la condanna morale di Novak Djokovic era già scritta. Prima ancora che sfruttasse tutto il suo potere e, dopo tanti silenzi, riapparisse su twitter, sorridente e giulivo, in partenza per Melbourne, in netto ritardo rispetto ai colleghi: «Buon Anno! Vi auguro salute, amore e gioia in ogni momento e che possiate provare amore e rispetto verso tutti gli esseri su questo meraviglioso pianeta. Ho trascorso del tempo fantastico di qualità con i miei cari durante la pausa e oggi sto andando in Australia con un permesso di esenzione». 

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Di esempio...

Lui, proprio lui, il numero 1, il simbolo del tennis e dello sport mondiale, il co-primatista di venti titoli Slam (insieme a Roger Federer e Rafa Nadal), il sindacalista che difende i colleghi oppressi dai colleghi più ricchi e potenti, dopo un lungo braccio di ferro diplomatico dietro le quinte con Tennis Australia (la federtennis aussie), può serenamente superare le regole anti Covid cui è vincolato il mondo intero, inclusi i 127 partecipanti al singolare degli Australian Open che scatterà il 17 gennaio e gli abitanti dello Stato del Victoria, il più falcidiato dalla pandemia di tutto quell’immenso paese. E può costringere il tennis a prostrarsi con un comunicato ufficiale che rimarrà per sempre una vergogna dopo aver strappato risolini di scherno e parolacce: «Djokovic ha richiesto un’esenzione medica che è stata concessa a seguito di un rigoroso processo di revisione che ha coinvolto due gruppi indipendenti separati di esperti medici - recita la nota del torneo -. Uno di questi era l’Independent Medical Exemption Review Panel, nominato dal Victorian Department of Health. Hanno valutato tutte le domande per vedere se soddisfacevano le linee guida dell’Australian Technical Advisory Group on Immunization (ATAGI)».

 

Le domande

Quale può essere la motivazione dell’esenzione medica di “Novax Djocovid”? Le possibilità sono quattro: «una condizione medica acuta che abbia portato ad un ricovero o ad un intervento importante; una recente positività al tampone che equivarrebbe ad uno slittamento del vaccino di sei mesi; un effetto collaterale grave derivato dalla somministrazione della prima dose (c’è il precedente del francese Jeremy Chardy che, a suo dire, non si è più ripreso, ndr); condizioni legate alla salute mentale che potrebbe mettere il vaccino a rischio».

Le prime tre ipotesi sono tutte percorribili con l’aiuto di validi supporti medici, che un personaggio come il campione serbo non avrà avuto difficoltà a procurarsi, magari sfruttando la celiachia, di cui è affetto da tempo. Anche se l’iter non è stato affatto facile, visti i tempi in cui si è risolto, al di là delle valutazioni economiche che chiaramente ne derivano per il primo torneo dello Slam della stagione in assenza del numero 1 del mondo, peraltro campione di 8 edizioni, le ultime 3 consecutive.

Preoccupazioni

Medici, avvocati, politici, finanzieri e manager hanno avuto la meglio sulla morale, in barba a problemi sanitari serissimi e a regole drastiche per i comuni mortali. Sarebbe potuto accadere anche negli altri tre Majors? Il Roland Garros che nel 2020 ha spostato d’ufficio il torneo da fine maggio a fine settembre, Wimbledon che ha cancellato l’edizione di due anni fa perché aveva una buona assicurazione o i ricchissimi US Open? Figurati. Succede nel torneo che era chiamato “la gamba zoppa dello Slam” e che ha sofferto enormemente gli scarsi incassi delle ultime edizioni. Ma la “regola Djokovic” quanto inciderà sul torneo, sulla credibilità del tennis e dello sport, quanto danneggerà l’immagine già traballante del campione serbo? Come reagiranno il pubblico e gli avversari? I social si sono già scatenati in modo estremamente negativo in nome dei puri e degli onesti che non hanno letto George Orwell: “tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri”.


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 5 Gennaio 2022, 09:08
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