L'olimpionico Cova: «Basta individualismi, ripartiamo tutti insieme»

L'olimpionico Cova: «Basta individualismi, ripartiamo tutti insieme»

di Massimo Sarti
I tre diecimila d'oro di Alberto Cova. Europei di Atene 1982, Mondiali di Helsinki 1983 (rimonta dal quinto posto negli ultimi 100 metri, scandita dai 7 “Cova” urlati in un crescendo rossiniano dal telecronista Rai Paolo Rosi), Giochi Olimpici di Los Angeles 1984. Emozioni tutt'altro che sopite dal tempo e racchiuse nel libro “Con la testa e con il cuore” (Sperling & Kupfer), che il “ragioniere” nato a Inverigo, nel comasco (per il titolo di studio e per come gestiva le gare) oggi 61enne (e senza il baffo degli allori) ha scritto con il giornalista di Radio24 Dario Ricci. Lo sport e l'atletica come metafore della vita personale e professionale di ognuno di noi. Una vita che cerca di ripartire dopo le tragedie e le restrizioni dovute a quella brutta bestia chiamata Covid-19. Che si è tra gli altri, lo scorso 7 aprile, portato via un compagno di maglia azzurra di Cova, ovvero Donato Sabia.

Cova, si riparte più con la testa o con il cuore?

Con tutte e due, ovviamente. Il cuore è il nostro motore, che ci permette di sognare, di vivere le emozioni. La testa è la centralina della nostra macchina: senza la centralina le parti meccaniche ed elettriche non funzionano.

Il percorso motivazionale tracciato nel suo libro assume ancora maggior valore alla luce della situazione creata dalla pandemia.

Con Dario Ricci non volevamo certo essere dei preveggenti... Io lavoro nella formazione aziendale, porto le persone a porsi obiettivi, a superare le difficoltà per ottenere la performance, mettendo in metafora la mia carriera sportiva. Ho notato che certe emozioni delle mie gare fanno ancora presa non solo in chi ha l'età di averle vissute in diretta, ma anche nei più giovani, che poi vanno a rivedere i filmati sul web. Da qui l'idea di condividere il tutto in un libro, pensato in un preciso contesto. Ogni giorno un atleta allena fisico e mente, come deve avvenire nella vita quotidiana di ciascuno di noi.

Vita che è stata fermata dal coronavirus...

È un po' come un atleta quando ha un infortunio che ne blocca la preparazione. Può essere un piccolo terremoto nella sua testa, nella sua organizzazione. Ma se al suo fianco c'è un team di persone con le giuste competenze, un medico, un fisioterapista, un allenatore che ne rimodula il lavoro, l'atleta deve essere così bravo da restare sereno e lucido ed affidarsi. Di fronte a una difficoltà bisogna analizzarla, darsi delle regole e poi prendere una decisione. O la prendo io o la faccio prendere con fiducia a chi ha le competenze.

Continuiamo la metafora con il nostro presente. Siamo pronti allo sprint come il suo ad Helsinki 1983 per affrontare la “Fase 2”?

Bel parallelo... Non tutti però si affidano a chi è competente, preferendo l'istinto personale. Basta dire che si può riaprire un negozio e tutti vanno in quel negozio, con il rischio di creare confusione. Non voglio fare un discorso politico, ma certamente non si è trovato un punto d'incontro per essere tutti d'accordo, perché il nostro è un Paese molto individualista. Non si è riusciti a creare un vero team, come avevo io per i miei risultati sportivi. Certo, abbiamo tutti dovuto affrontare una situazione particolare e sconosciuta.
La popolazione di oggi è l'atleta che può prendere una decisione che magari non va nella direzione giusta. Allora deve aspettare che ci siano persone competenti che dicano cosa si deve fare. Purtroppo anche sopra, tra le persone competenti, non ho visto lavoro di team, unità nel prendere le decisioni. Ognuno dice la sua. Se attorno invece a lui l'atleta vede coesione e determinazione, si affida e si rimette in moto. E i risultati arrivano. Perché, come mi piace dire spesso, i muscoli hanno memoria. Si può star fermi, far fatica all'inizio, ma poi si riparte.

Ha attualmente incarichi nel mondo dell'atletica leggera?

Sono un dirigente tesserato per l'Atletica Vigevano, un ruolo per me bello e importante, ma piccolo. La mia esperienza in Fidal è terminata nel 2008 dopo quattro anni in Consiglio Federale. Faccio in più il commentatore per Eurosport.

Anche l'atletica si sta ponendo il problema della ripartenza.

Per quanto concerne l'attività di base, educativa, bisogna prima aspettare che riaprano le scuole. Se riprenderanno a settembre-ottobre, potranno ripartire anche centri sportivi e palestre. Timori economici? Non vorrei farla troppo facile, ma finché una società deve essenzialmente far pagare una retta ai ragazzi dell'attività giovanile, il problema si può anche superare. Diverso è il discorso di società un po' più grandi che devono sostenere atleti ancora non di vertice, prima che passino nei gruppi sportivi militari, come avviene nel 95% dei casi. Gli sponsor potrebbero non rinnovare i contratti. Ci sono anche i contributi dati dai Comuni, che in questo periodo hanno però tanti altri problemi da fronteggiare.

Le sue imprese, lo abbiamo toccato con mano, non hanno tempo. Ma quale dei tre ori le è rimasto di più nella testa e nel cuore?

Se devo dirne uno solo è quello di Los Angeles del 1984. Se ancora oggi si parla di Alberto Cova come atleta è perché è soprattutto stato campione olimpico. Ma ognuna di quelle gare ha avuto una propria storia e una propria valenza. Del Mondiale di Helsinki 1983 è rimasta la volata, in combinazione con il commento di Rosi, che ha saputo trasmettere le proprie emozioni abbinandole a ciò che avveniva in pista. Ma tutto era iniziato con l'Europeo di Atene del 1982, vinto da outsider. Allora, a parte poche eccezioni tra cui primi atleti africani forti, era l'Europa a comandare il mezzofondo internazionale e quell'oro mi fece capire che avrei potuto puntare pure al Mondiale e alle Olimpiadi.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 6 Maggio 2020, 09:29
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