Max Gazzé: «Il mio nuovo album “La matematica dei rami” ispirato a Leonardo da Vinci è dedicato a Gianluca Vaccaro e Enrico Greppi»

Max Gazzé: «Il mio nuovo album ispirato a Leonardo da Vinci è dedicato a Gianluca Vaccaro e Enrico Greppi»

di Rita Vecchio

Del debole di Max Gazzè per Leonardo da Vinci lo si era capito dai travestimenti sul palco di Sanremo. È con Il Farmacista - brano in gara con una buona dose di “trifluoperazina” nel testo - che ha anticipato “La Matematica dei rami”, disco in uscita oggi per Virgin, il cui titolo è già una formula di intenti: «Come l’albero trova forza nei rami intrecciati che resistono al vento - spiega Gazzè citando l’archetipo vinciano -, così noi abbiamo trovato l’alchimia unendoci in ensemble. Come tanti rami-cervelli fusi in un unico cervellone». Il noi per Gazzè è d’obbligo, visto il lavoro collettivo. Dieci brani sulle onde progressive, rock, pop, underground ed elettroniche registrati in presa diretta con la Magical Mystery Band (MMB) - Daniele Silvestri, Fabio Rondanini (Calibro 35 e Afterhours), Gabriele Lazzarotti (Propaganda Live), Duilio Galioto (Avion Travel), Daniele Fiaschi e Daniele “il Mafio” Tortora - nel Terminal2 di Roma (lo stesso di Mia Martini, per citare un nome, dove è nato, tra gli altri, l’album “Il padrone della festa” del trio Fabi, Gazzé e Silvestri), studio fondato da Gianluca Vaccaro a cui Gazzè dedica in memoria - inserendo anche il nome di  Enrico Greppi della Bandabardò scomparso da pochissimo - il disco. 

 

Un matematico, un musicista: Gazzè che esperimento ha fatto?

«Mi sono chiuso per due mesi con gli eccellenti musicisti della MMB, entrando a gamba tesa in un nucleo di persone che si è formato da poco. Il Terminal2Studio è diventato la nostra dimora, il nostro tempio della musica, la nostra isola, il luogo felice che ci ha permesso di creare. Il titolo è preso da un verso della forma canzone Figlia, su testo di mio fratello Francesco e che canto con Silvestri. Oramai con Daniele siamo come due bastoncini cinesi: ci sosteniamo a vicenda da anni»

Formula riuscita, quindi. 

«Formula ricca di empatia e di contemplazione delle cose. Soprattutto condivisa con chi comprende come me il valore dell’ensemble oltre che quello di fare un disco. Sono bassista, compositore, fonico, arrangiatore. Io ho sempre bisogno di band, di armonie, di accordi».

Che sapore ha avuto “suonare insieme” in questo periodo?

«Chiusi in zone dalle differenze cromatiche, ci siamo immersi in uno stato di grazia. Nessuno frontman, nemmeno Daniele Silvestri che qui è tastierista. Le decisioni sono state prese democraticamente (ride, ndr). La forza di questo progetto sta nella grande unione di intenti.

Ho avuto la fortuna di crescere musicalmente immerso nella tradizione jazz di Bruxelles, Miriam Makeba, la band di Peter Gabriel, il mondo più rock e progressive, le jam session con artisti di tutte le parti del mondo. Io ho suonato in un gruppo punk quando punk era grande libertà».

Poi il ritorno in Italia. 

«Tornando in Italia queste identità erano diluite, più estetiche. Qui ho portato il mio bagaglio di fare musica, con un background più anglosassone che americano. La cultura della jam session l’ho portata al Locale. Qui gli incontri con Silvestri, Fabi, Britti, Zampaglione, ma anche attori come Mastandrea e Favino che recitavano sulle basi musicali che creavamo. In questo disco, ho deciso di inserire la cover sanremese, Del Mondo, che mi riporta a quando ho incontrato Francesco Magnelli e i membri di CSI che mi hanno coinvolto nel progetto di Robert Wyatt The Different You. Ma, dopo il periodo in giro per l’Europa, conoscevo poco della canzone italiana. Ero particolarmente attratto dalla poesia, dalla letteratura e dal cantatutorato italiano. Mi faceva impazzire come assemblava il suono delle parole Francesco Guccini. Era una spanna sopra tanti».

Guccini lo sa?

«Gli ho detto che durante concerti punk, per imitarlo, mi portavo il fiasco di vino Chianti e lo appoggiavo sull’amplificatore. Peccato che con le vibrazioni del basso cadeva per terra, bruciando i fili e creando corto circuito (ride, ndr). É capitato, giuro, un paio di volte»

In questo disco, canta vari temi, tra cui la solitudine. 

«Sì. In ”Le casalinghe di Shanghai”, una canzone un po’ amara e malinconica. Una condizione un po’ leopardiana di un signore che chiama “Hotline erotiche a 6 euro al battito” per avere compagnia».

Suo figlio, il rapper Sam Blu, sta seguendo le sue orme. 

«Lui compone, ascolta tanta musica e a volte ha grandi intuizioni. Non entro tanto nel merito. Spesso è più lui che dà consigli a me. É bello questo scambio tra padre e figlio».

Cosa mette nel bagaglio dell’ultimo Sanremo?

«Poco. Ho sempre vissuto i Festival con gioia ed entusiasmo, ma di questo non ho un bel ricordo. I problemi tecnici durante le performance, la canzone Il Farmacista, che a me piace tanto. Ironica, ma che (visti i tempi, anche se scritta in tempo pre Covid) forse è stata fraintesa. Ma è passato. Adesso mi auguro solo di tornare a fare live. Il ministro Franceschini deve ascoltare il settore di musica e spettacolo per capire cosa non deve morire e cosa non deve fermarsi. Musica, teatri e spettacolo sono una priorità».


Ultimo aggiornamento: Sabato 10 Aprile 2021, 08:06
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