Duccio Forzano: «Io, regista di Baglioni, Fazio e Fiorello, mi ripeto...se puoi sognarlo puoi farlo. La Tv del dopo Covid? Riparta dall'High Tech»

Duccio Forzano: «Io, regista di Baglioni, Fazio e Fiorello, mi ripeto...se puoi sognarlo puoi farlo. La Tv del dopo Covid? Riparta dall'High Tech»

di Rita Vecchio
Dai disegni di Topolino alla sala regia. Quando si parla con Duccio Forzano, non si capisce fino in fondo quanto sia consapevole di quello che è. Regista amato da chi fa televisione e da chi la vede, in 22 anni di carriera appena festeggiati - prima regia tv il 6 giugno 1998, al concerto di Claudio Baglioni Da me a te allo Stadio Olimpico di Roma con 70 mila spettatori - ha firmato più di 50 programmi, partendo da Verissimo a sei edizioni del Festival di Sanremo, passando per Che tempo che fa, Torno Sabato, Portobello. Infanzia per nulla agiata (che ha raccontato in un bel libro, Come Rocky Balboa). Finché non sale su un treno partito da Genova, la sua città, per inseguire la regia. E da cui non scende più. E oggi a 60 anni

Forzano, per una volta fuori l'occhio dalla camera. Tiriamo le somme?
«Volentieri. Partiamo dalla frase che mi ripeto sempre, che (non a caso) è di Walt Disney: se puoi sognarlo, puoi farlo».

Tutto inizia da?
«Dalla passione di raccontare. La vita mi ha messo di fronte a difficoltà. Ad abbandoni. E a tutto quello che un bambino non dovrebbe vivere. Non mi sono mai arreso. Fin da piccolo fremevo alla ricerca di un mezzo che me ne desse la possibilità. Prima il disegno (Topolino, in primis), poi i rullini - di macchine fotografiche prima e telecamere dopo - che consumavo senza poterli ricomprare».

Galeotta però è stata musica.
«Erano gli anni in cui non avevo i soldi nemmeno per mangiare. Dall'officina al marmista, ho fatto di tutto. Mentre mi dedicavo a studiare telecamere, segreti di ripresa, con il chiodo fisso per Giacomo de Simone, il re dei videoclip. Ho sempre pensato che se mi fossi dedicato anima e corpo, prima o poi sarebbe arrivata la telefonata che mi avrebbe cambiato la vita».

Ed è successo.
«Perché se fai bene, quel bene ti ritorna. Stavo rientrando a casa dopo una proposta allettante dell'azienda di caminetti per cui lavoravo. Ero pieno di debiti. Ad aspettarmi fuori dalla porta (mi avevano pure tagliato la corrente) il padrone di casa, per i sei mesi che non pagavo. Con una dialettica sincera, gli promisi che appena avrei potuto gli avrei dato tutto, pure un anno di anticipo. Non volevo pensasse fossi un disonesto. Accettò. Mi misi a cenare, due uova e focaccia avanzo di colazione. Squilla il telefono. Era la Sony che cercava il regista Forzano. «Ma vaffan.. !». E ho riattaccato. Pensavo a uno scherzo. Nessuno mai mi aveva chiamato regista. E io, regista, non lo ero».

E poi?
«Richiama (per fortuna). Mi chiede di girare un videoclip a budget limitato (17 milioni di lire). Altro che limitato. Per quella cifra, avrei fatto Ben Hur. Il brano era Bolero. E l'artista, Claudio Baglioni. Avevo aiutato a girare il videoclip di Amore Dannato di Paola Massari, la sua ex moglie. E mi ha voluto poi per il concerto Da te a me che veniva registrato dalla Rai».

E qui nasce il Duccio Forzano che conosciamo.
«Mi sono trovato a gestire dieci telecamere. Panico. Ho vinto con una organizzazione di tipo militare».

La tv, dopo il Covid?
«Dovrà cambiare. I creativi devono trovare alternative altrettanto spettacolari. Non ci si può appiattire».

Lei non si è fermato.
«L'idea di Musica che unisce, il mega concerto in pieno lockdown (una intuizione Rai), ha rappresentato la forza di andare avanti. Un programma montato nel salotto di casa. Questo la dice lunga sull'importanza della tecnologia. Stessa cosa con Belli in casa con lo showman Paolo Belli. Così per il podcast Lui e Lei scritto da me e da Lorena Guglielmucci, la mia compagna».

Se fosse lei il regista del prossimo Festival?
«Trasmetterei un messaggio positivo. Adeguandomi al momento. Senza per forza strafare».

Scelga un programma.
«Tutti insegnano. That's amore girato in una clinica veterinaria o Assassine, non hanno niente a che fare con Fiorello, Fazio o Sanremo. È chiaro che Sanremo è una giostra che gira veloce e quando scendi sei mezzo ubriaco. Ma l'esperienza è fatta anche di piccoli tasselli. Di cui non puoi fare a meno».

Scelga due momenti.
«Lo scherzo a Luca e Paolo al Festival. Li ho fatti tremare, lasciandoli sul palco e non mandando la pubblicità. E l'altro, le scenografie per Bono degli U2. Lavorai su due fronti, la mia idea e quella dei suoi autori. Alla fine, ho vinto io. Per la serie, provaci. Non pensare al risultato. Ma fai».

Tre artisti.
«Non so scegliere».

Faccio io: Fiorello, Fazio e Frizzi.
«Fiorello e il suo guizzo creativo. In Stasera pago io Revolution mi lasciò l'inquadratura a pochi minuti dal rientro mettendo a soqquadro la squadra. Andò a prendere una pila per l'effetto che si era escogitato (ebbe ragione lui). Fabrizio, un signore. La sua umanità, la sua risata. A Castrocaro o in Mettiamoci all'opera, soffriva più lui per l'eliminazione che il concorrente. E Fazio. Amplifica chi ha accanto, camaleontico, che passa con tranquillità dal momento serio Renzi al momento cowboy Terence Hill».

Sassolini nella scarpa?
«Non li tengo. Sono schietto, a costo di essere antipatico. Ho rispetto per le persone, ho il senso della squadra».

Tre parole.
«Provare. Crederci. Fare».

E lei cosa sta provando a fare ora?
«Un altro libro. Un film. Il podcast con Lorena. Un progetto con la Rai».
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Ultimo aggiornamento: Martedì 9 Giugno 2020, 19:34
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