Va in scena la vita della Sora Lella «Mia nonna? Una giocherellona»

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di Totò Rizzo

«Vedi, io e te siamo come l’acqua e la farina…», diceva Lella a suo fratello Aldo. «L’acqua e la farina?», chiedeva lui. «Si – spiegava Lella  – du’  cose diverse, completamente diverse quanno stanno lontane, ma quanno stanno insieme…». Aldo capiva e chiosava: «Danno vita ar pane…la cosa più bella der mònno».

Sta tutta qui, in questa metafora tra cucina e vita, in questo succo di romanità popolaresca il senso de «L’acqua e la farina», lo spettacolo che sabato 15 e domenica 16 ottobre farà rivivere in scena, al Teatro della Garbatella a Roma, Lella e Aldo Fabrizi, la “Sora Lella”, celeberrima ostessa e irresistibile caratterista in tanti film e sulla scena, e Aldo, una delle icone del nostro cinema e teatro nel mondo. Testo e regia di Antonio Nobili, in scena Mary Ferrara (la Sora Lella), Luigi Nicholas Martini (Aldo) e, nei panni di se stesso, ovvero nipote di cotanta nonna e cotanto zio, Mauro Trabalza, al battesimo artistico, un debutto a 60 anni per lui che si definisce un fotografo di strada ma è soprattutto, insieme ai suoi fratelli (Renato, Simone ed Elena), colui che tiene in vita la celeberrima trattoria di nonna.

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L'intervista

Lella e Aldo: da dove nasce l’idea di raccontare sua nonna e suo zio sulla scena?

«In occasione di un saggio degli allievi della sua scuola di teatro, Antonio Nobili mi chiese di fotografare delle espressioni dei giovani attori per farne una piccola mostra nel foyer. Da quella conoscenza è nato lo spunto, gli ho fatto vedere le foto storiche della famiglia e lui ha buttato giù un copione. Quando l’ho letto mi sono emozionato, ho ritrovato lo spirito di nonna, di zio, di mio padre Aldo (nonna Lella volle chiamarlo così per rispetto a suo fratello), in arte Amleto, l’anima della nostra trattoria sia quando nonna era ancora in vita che dopo, quando morì».

Il primo ricordo di nonna Lella.

«Sono tanti e quotidiani perché abitavamo in due palazzi accanto, in via di Donna Olimpia, a Monteverde. Così vicini che ci parlavamo dalle finestre. La domenica mattina, da una finestra all’altra, quando la salutavo, domanda e risposta erano sempre le stesse. “’A nonna, che stai a fa’?”. E lei: “Er pollo coi peperoni” che era un suo cavallo di battaglia. Io ho cominciato presto in trattoria, a 14 anni, appena finite le medie. Andavo a scuola, studiavo e poi al ristorante. Lo stesso ha fatto mio fratello Renato che adesso è lo chef e che segue la scuola culinafria di nonna e papà. Poi nella gestione sono arrivati anche Simone ed Elena, i fratelli più piccoli».

Era una nonna affettuosa la Sora Lella?

«Era giocherellona e complice. Da me e da Renato, soprattutto, che eravamo i nipoti più grandi, voleva sapere tutto sulle fidanzatine, se ci limitassimo ai baci o ci spingessimo oltre e poi ci consigliava, “a quella làssala perde’” oppure “questa qui me pare caruccia”. Quando morì mio nonno Renato, suo marito, anche lui un personaggio, un trasteverino doc, mi chiese: “Che, vieni a dormì a casa de nonna?”. E ogni sera si cenava, si diceva la preghierina per nonno e ci si addormentava. È stata una donna che ha anche sofferto tanto specialmente con la morte della figlia femmina, mia zia Assunta, che andò via a 50 anni. Nonna era stata la più piccola di cinque figli, il padre morì che era ancora bambina e infatti fu zio Aldo a crescerla, a fare da padre a lei e ad altre tre sorelle».

Passiamo in cucina: era tradizionalista ad oltranza?

«Meno di quel che si possa immaginare.

Era aperta alle novità, Mio padre Amleto, che era un vero mago dei fornelli, ogni tanto sperimentava. Lei assaggiava e dava consigli. C’è un piatto che ancora oggi, dopo 50 anni, serviamo ai clienti, i tonnarelli alla cuccagna, una ricetta segreta che ha alla base un sugo di salsiccia, guanciale e noci. Quando papà glieli fece assaggiare, lei sentenziò: “Ammazza quanto so’ boni, so’ ’na cuccagna!”».

Su quali piatti non transigeva?

«Su quelli della tradizione. Quando l’abbacchio finiva la cottura voleva assaggiare la parte finale, quella vicino all’osso. Della pajata prima testava un pezzetto con l’indice e poi lo assaggiava. E lo stesso per la coda alla vaccinara, il pollo coi peperoni, ci teneva che fossero fedeli alla sua ricetta. Ma il massimo era l’amatriciana: padella “de fero” – è un fatto chimico tra il metallo e il sugo che vi si cuoce – e poco pomodoro. Questo era proprio un diktat».

Con i clienti che rapporto aveva?

«Con quelli abituali amichevole, quasi familiare, conosceva i loro gusti tanto che spesso era lei a ordinare per loro. Poi qualcuno magari mi chiamava in disparte e si raccomandava: “Tu’ nonna m’ha ordinato i bucatini, portamene mezza porzione che sto a dieta. Ma nun glielo di’, pe’ carità!”. Poi c’erano i semplici curiosi che venivano per vedere il personaggio. Lei, a pranzo, a fine servizio, ogni tanto faceva una pénnica alla cassa e se la svegliavano chiedendole “scusi, ma lei è la Sora Lella?”, rispondeva “no, mi’ sorella nun c’è, io so’ ’a gemella».

I momenti di grande festa in famiglia?

«Ferragosto a Ostia: il casotto, il mare, il pollo coi peperoni, le fettine panate, il vino e il cocomero. Il massimo».

Lella e Aldo: non sempre sono stati rose e fiori.

«Con “L’acqua e la farina” spero di sfatare quella che è soprattutto una diceria, una leggenda. Ognuno dei due fratelli aveva il suo bel carattere, sia chiaro, ma non ci sono mai stati motivi per grandi litigi. Dicono che zio abbia ostacolato la carriera di sua sorella nello spettacolo ma non è vero e se comunque qualche volta è intervenuto è stato per proteggerla, proprio per quel senso di responsabilità paterna che nutriva nei suoi confronti. Non voleva che andasse incontro a delusioni. Ma poi è stato lo stesso zio Aldo, spesso, a chiamarla nei suoi film… Certo, lui non era da lodi sperticate. Quando nonna vinse il David di Donatello per “Acqua e sapone” di Carlo Verdone, si limitò a dire a mio padre: «È brava tu’ madre”».

Lei ne soffriva?

«No, non credo. E poi zio Aldo era talmente un mostro sacro… Ma non aveva soggezione, né sensi di inferiorità nei suoi confronti. Una volta, quando Maurizio Costanzo la invitò a “Bontà loro”, lei gli chiese in diretta: “Ma lei m’ha invitato perché so’ la Sora Lella o perché so’ la sorella di Aldo Fabrizi?”. E Costanzo rispose: “No, perché lei è la Sora Lella”. E lei: “Ah, me pareva, se no pijavo e me ne annàvo”».

Un aneddoto, fra tanti immagino. 

«Avevamo una casetta di villeggiatura nelle Marche, a Maiolati Spontini. Lei ogni tanto veniva con noi. In macchina, data la stazza, aveva sempre un po’ di difficoltà nell’entrare e nell’uscire. Una volta l’auto rimase intrappolata tra le sbarre di un passaggio a livello. Non l’ho mai più vista agile e scattante come in quella occasione. Schizzò fuori gridando “ve possino ammazza’».

Momenti di tenerezza fra i due fratelli?

«Spesso la domenica nonna cucinava l’abbacchio col Frascati, faceva un involto, mi chiamava e mi diceva: “Tie’, portarlo a zio Aldo”. Una volta che andai a casa di zio, lui aprì la famosa dispensa piena di pasta, tirò fuori un pacco di spaghetti integrali all’epoca quasi sconosciuti e mi disse: “Tie’ qua: portali a mi’ sorella. Diglie che questa nun fa ingrassa’».


Ultimo aggiornamento: Lunedì 10 Ottobre 2022, 10:28
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