Sergio Solli e la sua Napoli: «Ero parrucchiere, poi arrivò Eduardo»

Sergio Solli e la sua Napoli: «Ero parrucchiere, poi arrivò Eduardo»

di Maria Chiara Aulisio

Taglio, colore, permanente, stiratura e capelli ricci o lisci per assecondare i desideri delle signore e signorine di Chiaia. Avrebbe dovuto fare il parrucchiere, Sergio Solli, erede naturale della fiorente attività di papà Osvaldo. Negozio in via San Pasquale, ottima gavetta lavando le teste della migliore borghesia napoletana - e la prospettiva di un futuro tranquillo e soprattutto senza colpi di scena. 

Invece non è andata proprio così.
«Tutt'altro».

Che cosa è successo?
«Dico sempre la stessa cosa: quando è il destino a decidere tu non puoi fare proprio niente. A me è andata più o meno così».

Così come?
«Ero giovanissimo, mi divertivo a recitare con alcuni amici in una piccola compagnia amatoriale. Un passatempo, un modo per assecondare la passione che avevo per il teatro senza però fare l'attore».

La passione quindi c'era?
«Quella non mi è mai mancata. Soprattutto i lavori di Eduardo mi incantavano: le sue commedie le conoscevo tutte a memoria, ma a farmi svoltare fu Bruno Garofalo».

Lo scenografo di De Filippo?
«Esatto. Lavorava nella Compagnia del maestro, e solo per quello già meritava rispetto e ammirazione. Una sera venne a trovarci in un locale dove avevamo messo in scena una breve commedia. Sono abbastanza sicuro che in quella occasione cercasse proprio me».

Come mai cercava lei?
«Voleva qualcuno che sostituisse Luca in partenza per il servizio militare. Sergio vuoi fare un provino? mi disse Eduardo ha bisogno di un attore da piazzare al posto del figlio. Non ci potevo credere».

Finalmente al cospetto del grande Eduardo.
«Che emozione, mamma mia, un'ansia devastante. Ebbi perfino la sensazione di non riuscire a muovere più le gambe e nemmeno le braccia. Mi paralizzai letteralmente».

Come andò?
«Molto bene anche se non me lo disse».

In che senso?
«Dopo avermi fatto ripetere un paio di battute, forse tre, si alzò e andò via senza dire una sola parola. Tra me e me pensai vabbè ho capito: torno a fa' il parrucchiere».

Invece?
«Dopo un paio di giorni Garofalo mi mandò direttamente il copione: il posto di Luca era mio, il San Ferdinando mi aspettava per il debutto: Questi fantasmi, era il 9 novembre del 1970 quando cominciò la grande avventura con il teatro di Eduardo».

Che cosa del suo modo di stare in scena crede abbia colpito De Filippo al punto da affidarle il ruolo che sarebbe stato del figlio Luca?
«Forse la mia spontaneità, la capacità di cavarmela in ogni circostanza e probabilmente anche quello spiccato accento napoletano imparato sui Quartieri.

Con la mia famiglia ho vissuto lì molti anni, poi siamo andati via ma l'adolescenza l'ho trascorsa in quei vicoli».

La sua Napoli, insomma.
«Anche, ma non solo. I Quartieri spagnoli mi hanno insegnato le regole della strada mentre a Chiaia ho imparato quelle della borghesia senza dimenticare la vita nel centro storico: in realtà sono nato proprio lì».

Poi la città di Roma dove invece si è trasferito quando ha cominciato a fare sul serio.
«Non fu facile: Napoli mi mancava assai. Con altri tre, quattro amici della compagnia di Eduardo, ricordo che la domenica sera facevamo una corsa verso la Stazione per prendere l'ultimo treno che ci consentiva di arrivare a Napoli in nottata».

Ogni domenica?
«Il lunedì è il giorno in cui gli attori sono liberi, di solito non c'è spettacolo, e passarlo a Roma non se ne parlava proprio».

Tutti a Napoli.
«Mario Scarpetta, Isa Danieli, Pupella Maggio. Vivevamo a Roma ma il cuore era altrove. Per sentire meno la mancanza della nostra città stavamo sempre insieme, non solo sul palco».

L'unione fa la forza.
«Pranzo, cena e partite a carte a murì. Che risate. Eravamo talmente accaniti che a volte giocavamo anche il pomeriggio prima di andare in scena».

Addirittura?
«Al teatro Eliseo c'erano delle stanze al piano superiore che non venivano mai utilizzate. Zitti zitti ci andavamo a piazzare là dentro e davamo il via alla bisca».

A che cosa si giocava?
«Poker. Pupella era bravissima, pure la Danieli a dire il vero. E poi c'erano Linda Moretti, Gennarino Palumbo, Giuseppe Anatrelli. Uno meglio dell'altro. Fino a quando un pomeriggio non ci acchiappò Eduardo».

Reazione durissima.
«Successe il finimondo. Cercava Scarpetta e non lo trovava, chiamava Pupella e niente da fare, idem per me e Gennarino. A quel punto si rese conto che qualche cosa stavamo facendo tutti insieme. Al resto pensò il solito delatore».

Gli disse dove era eravate?
«E certo. Ci colse sul fatto, presi in flagrante, con le carte in mano mentre ce la ridevamo avvolti in una nuvola di fumo. Ci guardò e non disse niente, ma quello sguardo valeva più di mille parole. Eduardo nun teneva bisogno e parlà».

Quindi? Che accadde?
«Zitti e muti con la coda tra le gambe lasciammo le carte sul tavolo e uno dopo l'altro andammo a chiedergli scusa, per fortuna era quasi ora di andare in scena e la storia finì lì, ma fu un momento assai brutto».

Una curiosità, ma chi fece la spia?
«Mi avvalgo della facoltà di non rispondere».


Ultimo aggiornamento: Venerdì 5 Novembre 2021, 20:51
© RIPRODUZIONE RISERVATA