Milano, Paolo Rossi e il ritorno storico allo Zelig «a ruota libera»

Paolo Rossi, ritorno storico allo Zelig «a ruota libera»

di Ferruccio Gattuso

Lui dice che è “un caso”. Che la data l’ha scelta lui stesso molto tempo fa. Però se allo Zelig Cabaret Paolo Rossi segna un suo clamoroso ritorno nel giorno del compleanno dello storico locale di viale Monza a Milano (aprì il 12 maggio 1986), una magica convergenza deve pur esserci. “Per un futuro immenso repertorio” – in cartellone da stasera fino al 15 maggio (ore 21.15, biglietto 17,25 euro, info www.areazelig.it) -  dovrebbe essere il titolo uno spettacolo scritto, ma l’attore senza o meglio con troppi aggettivi (è nato a Gorizia, ha vissuto a Ferrara, è un simbolo della comicità milanese, ora vive a Trieste, ha recitato dal cabaret a Moliere, Goldoni, Shakespeare) dichiara: “Posso cambiare la scaletta anche mentre sto passeggiando verso il palco, vediamo come mi sento”. E c’è da credergli.

Cosa porta in scena allo Zelig?
“Il mio sarà il racconto di ciò che mi è successo, mi succede e immagino mi succederà. Dal passato, quello in cui mi sono divertito e per il quale dunque non ho nostalgia ma riconoscenza, con amici come Jannacci, Fo, Gaber, i comici dei Comedians con Gabriele Salvatores, a questo presente un po’ inquietante, al domani che vedo come attore, sempre più, in locali come Zelig e nelle piazze popolari. Perché il teatro vive e ha senso se si fa luogo di relazioni sociali”.
Il teatro post-pandemia si è ripreso meglio del cinema, non pensa?
“Questo è vero, ma troppo spesso ho visto miei colleghi tornare in scena più per sfoggiare il proprio ego o la bella pensata avuta durante il lockdown, che per venire incontro alla gente. Troppo spesso dimentichiamo che noi attori siamo un genere di conforto laico. Soprattutto in questo momento”.

Una carriera tra “alto” e “basso”, dal Piccolo Teatro a Fo passando per il cabaret e il successo in tv negli anni ’90: cosa la spinge, oggi, a dire sì a un progetto?
“Come detto, il suo senso di utilità sociale. Ora come ora mi stimolano spettacoli nelle feste all’aperto, nei circoli o in locali come Zelig, legati a una storia.

La parola preziosa che un attore deve sentidrsi dire a fine spettacolo non è ‘bravo’, ma ‘grazie’. Significa che hai fatto qualcosa di utile”.

Forse è questa la vera definizione di talento?
“La verità è che, come dicevo qualche tempo fa,  i mediocri  purtroppo si svegliano sempre due ore prima di quelli che hanno talento. E fanno danni”.
Nel suo show ci sarà anche la cronaca di questi giorni difficili in Europa?
“Chissà, dipende da come va la serata, anzi le serate. Io sono nato a Gorizia, ora vivo a Trieste. Entrambe terre di confine tra Ovest e Est. L’altro giorno qui al porto, di fronte a Piazza Unità d'Italia c’era la portaerei nucleare americana Truman. I giovani soldati sono scesi a visitare la città. Ecco, per farsi un’idea delle grandi cose si dovrebbero ascoltare le voci dirette di chi vi è coinvolto. Ascoltare loro, o il ragazzo afghano che mi aiuta in casa. Le riviste di geopolitica le lascio ad altri”.

Suo figlio Davide è nel team comico Il Terzo Segreto di satira: dura essere figlio di Paolo Rossi?
“Ma no. Ho altri due figli, una è scrittrice, l’altro fa il regista. Si sono dati nomi d’arte. Pensano alla loro strada. Poi, un po’ di sana competizione in famiglia funziona anche”.
La sua Inter ha appena alzato la seconda coppa stagionale: per il campionato si fa dura col Milan?
“Io resto un pessimista strategico. Nel calcio non vince il migliore ma quello che ci ha creduto di più. E lo diceva il triestino Rocco, storico allenatore del Milan. Se il Milan vincerà lo scudetto, ovviamente mi gireranno le scatole, ma sarò il primo a riconoscere che se l’è meritato. Ecco, magari gli amici milanisti dovrebbero smettere di tempestarmi di messaggini sul cellulare, io non passo la giornata a pensare a loro. E poi di questi tempi seguo con passione Spal, avendo vissuto a Ferrara, e Triestina”.


Ultimo aggiornamento: Giovedì 12 Maggio 2022, 10:17
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