Franca Valeri: un secolo da star tra teatro, cinema e tivù. E l'amore per Milano e Roma diviso tra vita e arte
di Totò Rizzo
Molto è servita l’avanguardia del dopoguerra, fra cabaret e teatro, di quegli anni ’50 in cui ha iniziato, con i Gobbi (complici Bonucci e Caprioli) che caricavano a molla la realtà fino a rasentare il surreale, se non l’assurdo. Strepitose sono state le sue creature, le donne d’ogni ceto sociale, fondamentalmente infelicissime sotto la bugia della noia danarosa, degli amori stentati o dell’inedia casalinga (il fortunato trittico Signorina Snob-Cesira-Cecioni). E anche nel cinema – grazie a registi che hanno colto con arguta sensibilità un sorriso mai pieno ma il più delle volte stirato, affilato, sarcastico – ci ha regalato figure da antologia (si pensi alla miliardaria de «Il vedovo» di Risi nel quale gareggia in cinismo con Alberto Sordi, due giganti dell’umor nero).
Grati sempre, dunque, alla Valeri. Non solo per questo magistero ma pure per due ultime cose: l’amore per Milano e Roma, equamente distribuito tra vita e arte, e quello sconfinato per gli animali.
Ultimo aggiornamento: Giovedì 9 Luglio 2020, 08:11
© RIPRODUZIONE RISERVATA