Miguel Gobbo Diaz nella serie Netflix "Zero": «Primo attore nero e latino, ora ho il mio palcoscenico»

Miguel Gobbo Diaz nella serie Netflix "Zero": «Primo attore nero e latino, ora ho il mio palcoscenico»

di Michela Greco

«Non utilizzabile sul mercato». Trentuno anni, nato a Santo Domingo e cresciuto (dall’età di tre anni) in Veneto, Miguel Gobbo Diaz, che da domani vedremo tra i protagonisti di Zero, la nuova serie originale italiana Netflix, se lo è sentito dire prima di riuscire a entrare – al secondo tentativo - al Centro Sperimentale di Cinematografia. 


«Secondo attore nero e primo latino», specifica. Tre anni fa, poi, è arrivato il ruolo del poliziotto co-protagonista di Nero a metà, poi quello di protagonista del cortometraggio “Capitan Didier”, prodotto da Groenlandia per Emergency, e ora, appunto, il personaggio di Rico in Zero (nella colonna sonora c’è un brano inedito di Mahmood). In una sorta di efficace mix tra Lo chiamavano Jeeg Robot e Bangla, la serie in 8 episodi, liberamente ispirata al romanzo “Non ho mai avuto la mia età” di Antonio Dikele Distefano, mette in scena una banda di ragazzi italiani di prima e seconda generazione che lottano per salvare il loro quartiere di periferia milanese, il Barrio.

Tra loro c’è Omar/Zero (Giuseppe Dave Seke), che consegna pizze in bicicletta, sogna di diventare fumettista e si scopre supereroe. Quando, timidissimo, incontra una ragazza speciale (Beatrice Grannò) e un nuovo gruppo di amici, capisce di avere un superpotere: sa diventare invisibile. Miguel Gobbo Diaz è invece il cattivo: il cinico cubano a capo di una banda che minaccia la tranquillità del quartiere. «Un bel ruolo – commenta – diverso da ciò che ho fatto finora e più vicino alle mie corde rispetto ai personaggi africani che ho spesso interpretato: ci ho messo dentro la mia latinità».


Fino a pochissimo tempo fa arrivavano solo ruoli da immigrato, ora le cose iniziano a cambiare...
«È vero, Nero a metà è stata la prima serie in Italia con un personaggio nero che è semplicemente una persona che fa un lavoro comune.

Ora con Zero si apre un portone gigante, si dice: questi siamo noi, persone normali che si mettono in gioco. Persone la cui identità è data soprattutto dal quartiere in cui vivono e dalle passioni, come la musica e i fumetti».


Quanta strada resta da fare?
«Ci sono ancora pochi ruoli e pochissimi registi di seconda generazione, manca chi racconta il proprio vissuto. Spero che i progetti in arrivo porteranno una ventata di aria positiva e ci toglieranno dall’invisibilità».


Come reagì alla frase “non utilizzabile sul mercato”?
«Si riferivano appunto al fatto che non c’erano ruoli per i neri. All’inizio era come se avessi preso una badilata in faccia, poi ho pensato: ora vi faccio vedere io. Più mi abbattono e più cerco di dimostrare che si sbagliano».


Lei ce l’ha un supereroe?
«Denzel Washington. Sono cresciuto con lui, è il mio punto di riferimento per umiltà, tenacia, talento, umanità».


Ultimo aggiornamento: Martedì 20 Aprile 2021, 09:24
© RIPRODUZIONE RISERVATA