Sanremo, Gabbani e la vittoria: "Il mio brano
un'accozaglia? Sì, proprio come la vita"

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di Alvaro Moretti
E allora Namastè alè, Francesco Gabbani. Che ne sapeva il rispettosissimo e pettinatissimo vincitore di Sanremo che l’urlo di Occidentali’s Karma significa più o meno quello che canta la sconfitta Mannoia? A un Festival che riunifica il Paese con gli ascolti, serviva un brano luminoso: lo ballano come la scimmia nuda e canticchiano tutti con sollievo, anche noi mentre scriviamo.

Buono e non buonista. L’Italia scopre una stella serena nel firmamento musicale. Eppure, Francesco, canti un Bignami di filosofia. «In effetti, da come sento parlare del mio Karma mi sembra anche di non essermi spiegato bene: le citazioni filosofiche sono un’esca per studiare Panta Rei o il Nirvana».

Carrara ha un secondo re, dopo Buffon.
«Non lo conosco Gigi Buffon: magari lo potrò conoscere ora. Il cardinal Ravasi mi ha ritwittato? Beh, 'ultima volta l'aveva fatto con Bowie...».

Polistrumentista che balla.
«Piccoli espedienti, quelli. Il timore vestendoti da scimmia che mi potessero ricordare per quello e basta, no. Però aveva un senso e la potenza del brano era tale che sarebbe passato. Sdrammatizzavo. La gente ha capito, mi pare: se mi dicono paraculo mi va bene».

I look?
«Studiati: il maglioncino per una semplicità che all'Ariston spiazza. L'arancio come le tuniche degli hare krishna».

I riferimenti musicali dell'onnivoro Gabbani?
«Mi piace onnivoro, lo posso riusare? Daniele Silvestri di Salirò, c'è. E la danza di Attenti al Lupo di Dalla. La canzone però è... gabbaniana: un frullato delle mie ispirazioni, eterogenee».

Tre dischi formativi?
«Il Dado di Silvestri, Henna di Dalla e Inner Auge di Battiato».

Il momento della proclamazione.
«Imbarazzo vero nel vedermi premiato al posto della Mannoia: io avrei premiato lei, Gabbani secondo e Meta terzo. E l'inchino era spontaneo: io ero al Nirvana solo ad essere lì tra i tre... Vorrei scriverle una canzone».

Un paio d'anni fa aveva quasi smesso.
«Non riuscivo a vivere da cantante la quotidianità. Avevo cambiato modalità. E' arrivata una serenità vera, senza ricorrere a filosofie orientali e ricerche del Karma senza fare ooomm. E quell'equilibrio semplice di bici e nuoto, trekking sulle Apuane. Poi è arrivato Amen...»

E così è stato.
«Ora non ho paura di questo successo: vivo il momento e penso che sia la mia volta».

Il brano è una luce nel cupo del quotidiano che viviamo.
«Non sono mica tanto d'accordo: è un brano allegro di facciata. Un rito liberatorio il nostro ballo da scimmie nude: ci sono dentro i vizi di una generazione, gesti che sembrano tic»

Chi è per lei il coautore Ilacqua?
«Un altro fratello, oltre a Filippo. Uno che vive di musica e coltivazione di kiwi. Mi dà equilibrio: un uomo di campagna con cui per tre mesi ho parlato solo via skype e senza telefonino».

Lei fuori dal palco pare un tipo semplice: ora Dagospia parla delle sue misure, qualcuno definisce il testo un'accozzaglia. E' il successo.
«Sui 25 centimetri di dimensione artistica dico: bello, ma chi la scimmia? Accozzaglia? Lo è la nostra vita, dico sì».
Ultimo aggiornamento: Lunedì 13 Febbraio 2017, 12:48
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