Sanremo 2023, Enrico Melozzi: «Io al Festival per combattere contro la musica di plastica»

Sanremo 2023, Enrico Melozzi: «Io al Festival per combattere contro la musica di plastica»

di Rita Vecchio

«Datemi un'orchestra e vi scatenerò l'inferno»: Enrico Melozzi, stimato direttore d'orchestra - dai 100Cellos all'Orchestra Notturna Clandestina, all'Ariston - ha idee incendiarie?
«Sono un mezzo disadattato (ride, ndr). Sto bene solo davanti a un'orchestra».


Dal Festival con Noemi nel 2012 ai Maneskin: cos'è per lei Sanremo?
«Un'opportunità per compiere la mia missione: riabituare il grande pubblico alla bellezza musicale di una volta. Non è un caso che nelle orchestrazioni soprattutto dei più giovani io inserisca rimandi classici (ottoni, legni, archi). Da anni ascoltiamo musica di plastica». 


Cioè?
«Quella creata con programmi e pulsanti. Chi scrive oggi non ha minimamente le competenze di composizione che si avevano un tempo. Se posso invertire la tendenza che va per la non arte, sono felice di farlo. Certo, ci sono eccezioni. Uno è Jiz».


Il fratello di Sethu, tra gli artisti che dirigerà al Festival. Gli altri sono Grignani e Mr. Rain. 

«Sethu ha fatto un gran lavoro, comunicando un messaggio giovane ma di rottura. Lo stesso Mr. Rain (avrà sul palco il coro dei bambini, ndr) e Gianluca Grignani, che ha una bella canzone in cui abbiamo lavorato a quattro mani».

E’ vero che Grignani per la cover ha litigato con Pelù?

«No, per nulla. Semplicemente non funzionava musicalmente ciò che io e Gianluca avevamo in mente, un medley e non un mash up. Cosa che può capitare, ma non significa litigare o che non ci saranno altre occasioni per lavorare insieme». 


È intervenuto contro il violinista Uto Ughi che ha etichettato i Maneskin (che lei ha diretto in Zitti e buoni nel 2021) come un'offesa alla cultura e all'arte, e lo ha definito una “Cover-Band di Vivaldi".
«Ci sono baroni della musica classica che sanno criticare senza fare.

Essere musicista non significa suonare lo stesso repertorio per tutta la vita. Non si affabula così la gente. Significa fare ricerca, e Giovanni Sollima ne è un esempio. Questa è vera bellezza. Il contrario, mi fa arrabbiare». 


Il maestro le ha risposto?
«Non mi pare. So chi è e cosa rappresenta Ughi. Io per primo, a Teramo, mia città natale, ho una scatola dei ricordi (la mia "scatola del casino", come la chiamo) che contiene accanto alle cose più care, due autografi del maestro. Io per primo ho trenta sue registrazioni, che ho studiato e trascritto. Quello che non sopporto è la chiusura della musica classica che va combattuta, altrimenti si è complici. Purtroppo manca uno Stato e la politica è totalmente assente».


Con i Maneskin si è parlato di rivoluzione.
«Rivoluzione percepita, ma non reale. Loro hanno stilemi che sono più classici di altri. Ma oggi la musica si guarda e non si ascolta. A loro va dato il merito di essere innovativi perché sono un prodotto nuovo. Ai Maneskin è successo quello che era successo qualche tempo fa con la critica a Giovanni Allevi. Allevi esiste perché riempie il vuoto della musica classica».


E Amadeus?
«Diventando di fatto un producer, ha stravolto la visione del Festival rispetto al passato. Lui non sceglie l'artista, ma la canzone che possa durare nel tempo. Lui non si ferma a fare un prodotto televisivo, ma si spinge anche sulla discografia. Un brano che non ha un dopo Sanremo, per lui è un fallimento. Con l’ultimo Festival ha raccolto almeno 60 dischi d’oro. Se i teatri lirici lo avessero come direttore artistico il mondo della classica cambierebbe in meglio. Perché ci vuole la sua mentalità e la sua visione».

Che le ha dato la direzione del festival? 

«Mi ha dato l’opportunità di dialogare con il grande pubblico. E di capire come percepisce la musica. Mi ha avvicinato al gusto popolare. Dinamiche che riporto quando dirigo L'Orchestra Notturna Clandestina (dopo Sanremo prosegue il tour nei teatri italiani, ndr)».


Si definisca.
«Melozzi, l'anti-direttore d'orchestra, l'anti-divo».
 


Ultimo aggiornamento: Domenica 19 Marzo 2023, 02:02
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