Poesia e politica, il doppio live degli U2 a Roma fa restare qualcosa degli anni '80

Poesia e politica, il doppio live degli U2 a Roma fa restare qualcosa degli anni '80

di Claudio Fabretti
D ue notti all’ombra del Joshua Tree e l’Italia riscopre la U2-mania. E pazienza se la voce di Bono non graffia più come un tempo e se in questi trent’anni è cambiato tutto. Non può essere solo l’effetto-revival ad aver spinto i 120mila della doppia performance in uno stadio Olimpico che non si ricordava così gremito dai (remoti) giorni degli ultimi trionfi di Roma e Lazio. C’è dell’altro sotto quel cactus gigante che cresce nella Death Valley, trovando vita laddove tutto è arido e deserto.

È allora il maxischermo posto alle spalle di Bono e compagni a riportarci sulle strade senza nome di oggi, in un mondo così lontano e così vicino – tanto per citare un brano degli U2 – rispetto a quello attuale.
“The Joshua Tree” era l’America vista con gli occhi pieni di eccitazione e idealismo di quattro ragazzi appena usciti dal ghetto irlandese per affacciarsi sul palcoscenico del mondo. Era l’istantanea in bianco e nero di un paese ricco e progredito, ma avido e lacerato dalle contraddizioni. Oggi, che al ciuffo impomatato di Ronald Reagan si è sostituita la chioma cotonata di Donald Trump, sembra quasi che il tempo si sia fermato.

“Outside it’s America”, continua a gridare Bono in “Bullet The Blue Sky”. Ma attorno alla superpotenza di sempre, ci sono nuove macerie, come quelle della Siria, omaggiata da una nuova, struggente versione di “Miss Sarajevo”, o quelle dei paesi arabi devastati dall’odio religioso e simboleggiati dal volto della giovane Malala, una delle tante figure femminili scelte da Bono per accompagnare “Ultraviolet”, in chiusura del concerto. E oggi come allora Bono non è semplice rockstar: sul palco alterna dediche a sermoni, ricorda l’impegno della Guardia Costiera italiana che salva vite ogni giorno, i suoi progetti per aiutare l’Africa e fermare le guerre.

Cita la “Heroes” di Bowie, ricordandoci che ognuno di noi, nel suo piccolo, può cambiare il mondo, magari anche attraverso le poesie, come quelle del suo “eroe” Keats, sepolto a Roma. E il cuore della Capitale torna a battere per lui e per i suoi compari, eroi di una notte di mezza estate che ci ha ricordato come l’orologio della storia possa fermarsi e perfino tornare indietro di trent’anni in un giorno solo. Perché all’ombra di quell’albero, in fondo, sono custoditi valori ben più profondi di quelli legati a un semplice senso di appartenenza musicale
Ultimo aggiornamento: Lunedì 17 Luglio 2017, 08:49
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