Giovanni Truppi: «Il mio album più complicato, volevo che fosse un gigantesco punto interrogativo»

A un anno da Sanremo, il cantautore napoletano pubblica "Infinite possibilità per esseri finiti". Disco urbano, con temi dalla nascita alla morte, alla provocazione per decenni di sinistra, tra spoken word e hip hop.

Giovanni Truppi: «Il mio album più complicato, volevo che fosse un gigantesco punto interrogativo»

di Rita Vecchio

Giovanni Truppi è quel cantautore fuori sistema, lontano da logiche e fedele alle sue riflessioni. Di domande autobiografiche e universali se ne pone tante, risposte non ne trova molte, ma accende in chi lo ascolta il fiammifero della ragionevolezza. Napoletano di nascita, 42 anni, Roma e adesso Bologna diventano le sue città che lo adottano. L’ultimo lavoro, a un anno dalla partecipazione alla 72esima edizione del Festival di Sanremo, si intitola “Infinite possibilità per esseri finiti”, un album di 18 tracce, «isole in un mare di parole», iniziato prima della sua partecipazione dell’anno scorso a Sanremo. Nel suo universo poliedrico, l’idea truppiana è di anticipare l’uscita del disco con un mini tour con il teatro d’ombre Unterwasser e con un podcast in cui compaiono vari personaggi, tra cui la madre, Dargen D’Amico, Aldo Giannotti, che ha curato la copertina. 

Giovanni Truppi, “Infinite possibilità per esseri finiti”: l'album di opposti che convivono. La recensione

Un disco, fin dal titolo, impegnativo.

«Lo è, è innegabile. E’, però, una perifrasi che mi affascinava. Parte dal nome di una conferenza che Marco Buccelli, produttore del disco con Niccolò Contessa e mio inscindibile compagno di viaggio, avrebbe dovuto tenere negli Stati Uniti sulla creatività della musica. Siamo esseri finiti, con risorse limitate e possibilità infinite. E’ il riassunto della condizione umana, dove l’unica cosa che dobbiamo fare è scegliere. Cosa non facile». 

Ammette che questo disco nasce dalla fissazione di non fare quello che aveva fatto prima?

«Sì, fa parte di me. Spero però non sia una fissazione, ma una naturale creatività, una sana competizione del Truppi di ieri col Truppi di oggi». 

I temi sono gli stessi. Attualità, politica, impegno: rispetto al precedente, cosa c’è di diverso? 

«Cambia l’angolatura di visione. "Infinite possibilità” è l'altra faccia della medaglia. “Poesia e civiltà” era un disco musicalmente e ideologicamente monolitico. Lì c’era un Giovanni che si avvicinava ai 40 anni e che cercava di corrispondere all’idea di essere adulti. Superata la soglia, forse perché mi sono rilassato, ho cercato di tenere insieme, con la mia età anagrafica, una serie di dubbi e incertezze». 

Ma alla fine, Truppi trova risposte? 

«No. Volevo che il disco fosse un gigantesco punto interrogativo. Non penso che l’arte debba dare risposte, piuttosto debba cercare di sopravvivere anche nel periodo drammatico che stiamo vivendo». 

Nei testi critica chi non si espone, il riferimento corre ai decenni precedenti.

«Credo che la canzone sia un prodotto di massa influenzato da quanto accade nella cultura di massa. Non si deve esporre per forza». 

Cosa è l’impegno politico?

«Non pensare ai propri interessi». 

“Privilegio” e “comunità:” in che modo convivono in una società di diseguaglianze?

«E’ vero che la dimensione di comunità, a partire dalla famiglia, viene meno e che andiamo verso una atomizzazione della società dove l’individuo è sempre più importante, facendoci dimenticare siamo fatti per vivere insieme.

Credo, però, sia possibile creare una società di comunità, nonostante tutto». 

 E l’artista?

«Non dovrebbe fare niente di diverso dagli altri o quello che ha sempre fatto, ovvero fare il suo lavoro e fare arte». 

Lei però dice: «O ci dedichiamo attivamente a costruire delle alternative a questo sistema politico, oppure almeno ci iscriviamo tutti al Pd». Pensa sia la soluzione più adatta? 

«E’ una provocazione. Mi piacerebbe che le mere alternative fossero altrove. Faccio parte delle persone deluse degli ultimi decenni della sinistra italiana. La mia amarezza va oltre il PD, non credo nel sistema politico, e in come funziona oggi la democrazia». 

 

Calenda ha detto che la Schlein sta portando il PD all’estremo: è vero?

«Io me lo auguro, ma confesso che per via del disco sono rimasto un po’ fuori dagli ultimi accadimenti». 

Nella copertina, “partecipativa” grazie alla creatività dei fan, c’è l’allusione al tema dei migranti. A che punto siamo con i diritti umani?

«L’inizio e la fine del disco ruota intorno alla schiavitù, provocazione sul non cambiamento rispetto a 2000 anni fa. Il paragone con i migranti è ovvio perché è uno degli aspetti più evidenti di una situazione globale tragica». 

Da Roma Centocelle a Bologna, ma le sue radici sono di Napoli. Tifoso? 

«Non lo sono. Il calcio è una trappola (ride). Riconosco di avere instaurato con la mia città di origine un rapporto non semplice. Con Roma ho una relazione più risolta». 

“Per andare avanti a volte devo tornare indietro”. A quale indietro torna?

«Mi piace mantenere una connessione con quello che ero. A volte, mentre scrivo, provo a immaginarmi cosa penserebbe l’adolescente che sono stato dell’uomo di adesso». 

Qual è la risposta? 

«Mi auguro che sia contento, perché faccio il lavoro che desideravo».


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 10 Maggio 2023, 08:38
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