Fred Bongusto morto a 84 anni, addio al «cantante confidenziale» dalla voce suadente
di Totò Rizzo
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Era un autore con i fiocchi, Bongusto, talentoso musicista di Campobasso, tenace come i veri molisani. S’era fatto le ossa con un suo complesso (allora le band si chiamavano così) in giro per i night club del Centro e Sud Italia. E già qualcuno aveva notato quella voce scura, brunita, suadente che sarebbe stata il suo marchio di fabbrica. C’era l’America che imperava nel repertorio di quelle piccole formazioni che si facevano le ossa tra whisky, fumo denso di sigaretta e approcci danzanti di quei locali, c’erano i crooner alla Nat King Cole e il vecchio jazz di Louis Armstrong (Bongusto avrebbe collaborato in futuro con un asso del calibro di Chet Baker), c’era il nuovo swing del dopoguerra che avevano importato in Italia artisti come Lelio Luttazzi o Bruno Martino, più semplice, più scarno rispetto a quello sontuoso delle big band.
Bongusto era comunque votato – complice anche un portamento e una voce che lo rendevano fascinoso e molto gradito al genere femminile – a quella forma che venne per comodità definita «confidenziale» ma senza disconoscere mai la sua variegata gavetta musicale. «Una rotonda sul mare» lo lanciò verso il successo e non soltanto in Italia. Continuò a conquistare per tutti gli anni Sessanta e Settanta con brani come «Amore fermati» (un mix perfetto di swing e melodia tradizionale), «Frida», «Malaga», «Doce doce», «Se tu non fossi bella come sei», la cover di «Over and over» («Ore d’amore»), «Prima c’eri tu» e quella che insieme a «Una rotonda sul mare» è forse la sua canzone ovunque più eseguita «Tre settimane da raccontare». Da molisano confinante, ma anche perché il padre era originario di Monte di Procida, amava molto Napoli e la sua musica e non è un caso che molti suoi brani siano stati scritti in quella lingua.
Proprio perché musicista poliedrico si divertì anche con il vecchio dixieland per «Spaghetti a Detroit» («spaghetti, pollo, insalatina e una tazzina di caffè…») e «Quando mi dici così» che fu tra le sigle più famose degli show televisivi Rai del sabato sera anni Settanta (in coppia con una vezzosa e biondissima Minnie Minoprio) ed ebbe successo anche un’altra sua sigla tv, «Quattro colpi per Petrosino», scritta per lo sceneggiato «Petrosino» con Adolfo Celi protagonista.
Amava molto anche la musica brasiliana e in particolare la bossa nova e si inorgoglì parecchio quando Joao Gilberto incise la sua «Malaga». Inevitabile che, nel corso di una carriera durata oltre mezzo secolo, partecipasse pure ad alcuni Festival di Sanremo ma quell’atmosfera e la gara sembrava proprio non gli si confacessero.
Finché la malattia glielo ha consentito (il suo cruccio più grande era stato negli anni scorsi una fastidiosa sordità), ha continuato ad esibirsi, a cercare il contatto diretto col pubblico, a compiacersi delle platee che intonavano insieme a lui i suoi successi. Ha venduto milioni di dischi, si è esibito in gran parte del mondo, ha fatto sognare milioni di persone: che era poi il suo sogno, il più grande.
L’ultimo applauso lunedì, alle 15, per i funerali nella Chiesa deli Artisti in Piazza del Popolo.
Ultimo aggiornamento: Venerdì 8 Novembre 2019, 11:57
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