Franco126: «Voglio 'Uscire di scena' per rimettermi in gioco»

Pubblicato il nuovo Ep: "I concerti? Rimandarli ancora sarebbe assurdo"

Franco126: «Voglio 'Uscire di scena' per rimettermi in gioco»

di Rita Vecchio

Uscire di scena, per rimanerci. Un gioco di parole che suggerisce il titolo del nuovo Ep di Franco126, “Uscire di scena”, anticipato dal singolo “Fuoriprogramma”. L’artista romano, nome di nascita Federico Bertollini, trent’anni, è uno degli esponenti più dinamici dello scenario musicale attuale. Dagli inizi, con il collettivo 126 - nome dal numero dei gradini della Scalea del Tamburino di Trastevere - a Polaroid in duo con Carl Brave, al percorso solista di Stanza Singola e Multisala, al cantautorato di Califano e Dalla fino alla collaborazione con la scena rap.
Perché “Uscire di scena”?
«Per chiudere un percorso cantautorale iniziato con il disco “Multisala”».
Si chiude un cerchio. E cosa si apre?
«Sono in una fase di riflessione. Musicalmente non so se continuerò sulla strada del cantautorato o su quella rap. La cosa che mi preme di più è ricominciare a suonare, a fare cose nuove, a trovare energie. Per fare canzoni si deve avere un vissuto».
Il 17 marzo al Mediolanum Forum di Assago e il 25 marzo al Palazzo dello Sport di Roma: la sua prima volta nei palazzetti è confermata?
«Non so ancora nulla. Spero di non essere costretto ancora a rimandare. Questa emergenza sta diventando ordinaria routine. Mi trovo d’accordo con la polemica di Coez sull’urgenza di riaprire. Vanno trovate soluzioni».
“Scandalo”, parla della fine del mondo. Ultimamente pare andare di moda questo tema. Perché?
«Parla del film “Don’t Look Up”? Non l’ho ancora visto. Io ne parlo in modo giocoso, tra figure grottesche e immagini surreali. Il cameo della leggenda italiana Pino d’Angiò nel ritornello mi piace molto. Il pezzo nasce prima della pandemia. Mi ha sempre attirato l’immagine del futuro distopico. Ed è bizzarro che ci troviamo a vivere una situazione distopica».
Carl Brave, Don Joe, Noyz Narcos... lei collabora davvero molto.
«La musica è condivisione per me fin dall’inizio con i 126. Mi piace scambiare visioni, approcci, realtà».
E una reunion con il collettivo?
«Mi pare difficile. “Cuore, sangue, sentimento” ci racchiudeva, ma un mixtape 126, non so se si farà mai». 
Però il 126 lo avete mantenuto.
«Perché è come fosse il nostro cognome. Non era scontato, certo. Ma c’è unità di intenti e una poetica comune».
È vero che nel rap si collabora, ma ci si odia?
«Nel mio caso, no. Se collaboro è perché mi piace. Anche se non c’è sempre una grande amicizia, ma solo stima artistica. Il discorso sul rap è che c’è anche business dietro».
E marketing.
«Penso sia importante. Io non sono molto bravo in questo (ride, ndr). Mi concentro di più sulla musica».
Si fa fagocitare anche lei dalla corsa ai numeri di stream e vendite?
«Il rischio c’è. Mi salvano le persone che lavorano con me e l’avere il piede in due scarpe (solista e collaborazioni). La musica non può essere una questione di numeri. La musica deve saper arrivare alle persone».
Chi è Franco126 oggi?
«Cerco di essere meno possibile personaggio e il più possibile coerente con la persona che sono».


Ultimo aggiornamento: Sabato 29 Gennaio 2022, 12:26
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