Francesca Michielin: «In Cani Sciolti la mia musica senza guinzaglio». I cantautori? «Non devono piacere per forza a tutti»

Il 24 febbraio esce il nuovo disco. «Sanremo? Non avevo le energie»

Francesca Michielin: «In Cani Sciolti la mia musica senza guinzaglio». I cantautori? «Non devono piacere per forza a tutti»

di Rita Vecchio

Francesca Michielin, lei dice spesso: «Fragilità, forza, sensualità. Non importa cosa, conta sentirsi sé stessi». A parole è facile. Ma riesce davvero a seguire la propria strada senza correre dietro alle mode?

«Per me è fondamentale. “Cani sciolti”, disco che uscirà il 24 febbraio e con cui festeggerò il mio 28esimo compleanno, è il riassunto del mio modo personale di intendere il cantautorato. Libertà totale e coraggio. Non mi sono chiesta cosa funzionasse su Spotify o cosa andasse di moda, ma cosa funzionasse per me e come potessi essere credibile. Questo disco è la risposta. È super sincero e mi rappresenta, il primo che scrivo tutto io. Rock e materico, partitura energica. Con poca elettronica, come il tour ("bonsoir! - Michielin10 a teatro", ndr), il primo nei teatri».

Perché "Cani sciolti"?

«È il risultato di un processo lungo di scrittura e di scoperta chiuso con 12 tracce. I cani "sciolti” non stanno al guinzaglio, non restano dentro una corrente stabilita, non seguono le mode, ma si sentono liberi di esprimersi. Dal latino "absolutum", i cani sciolti sono i dissidenti».

In musica chi sono?

«Per esempio la Consoli. Lei è un cane sciolto della musica italiana, rappresenta il dissidente del cantautorato, non sta attenta alle mode, riporta le sue verità, non strizza l’occhio a nessuno, se ne frega se piace o meno. Da un dialogo con lei, nasce "Carmen" una traccia che racconta proprio la forza di portare avanti le proprio idee. Lei è stata il mio spirito guida nel disco».

Senza guinzaglio anche i temi. Non ha pensato di portare uno di questi brani a Sanremo? 

«È stato un no, uno di quelli che ho imparato a dire per sopravvivere. Non avevo l’energia per andare al Festival, tra la preparazione dell'album, la conduzione di X-Factor, il podcast Maschiacci». 

C'è un universo di sfaccettature. 

«Sono i miei temi. C’è il rapporto con la natura e con la provincia (dove sono tornata a vivere e a cui ho dedicato "Padova può ucciderti più di Milano"). C'è la fragilità, che riassumo nella foto ritratta in copertina dove piango fiamme, come fosse la sublimazione di un dolore che grazie alla musica sono riuscita ad affrontare. C’è l’amore in tutte le sue forme, compreso quello per un’altra donna (“Claudia”), senza che la declinazione sia necessariamente al maschile. Non è così usuale nelle canzoni, perché magari colleghi prima di me preferiscono evitare per non incorrere nel circo mediatico legato all'orientamento sessuale. Purtroppo, ancora oggi, sembra un modus operandi fare commenti sgradevoli di questo tipo. Questa canzone vuole dire di lasciare le persone in pace». 

In "Padova può ucciderti più di Milano" lei racconta il lato più nascosto della provincia, mostrando la parte razzista e ipocrita.

«Nasce da una mia riflessione che sintetizzo con il "predicare bene e razzolare male". È una canzone di denuncia verso una società che pecca di pressapochismo, nascosta tra muri di "cartongesso". Tanti miei amici sono scappati dalla provincia perché non hanno trovato il proprio spazio. Io sono cresciuta in Veneto dove non esiste davvero una grande città come può essere Milano. Padova è una città pazzesca per tanti motivi, ma allo stesso tempo certe differenze non vengono ascoltate. Come se si vivesse nel paradosso tra ideali politici e fede. Che senso ha andare in chiesa e fare il presepe se poi si è razzisti, non pensando a Gesù come un migrante che oggi sarebbe stato respinto come lo sono tanti profughi? Questo ragionamento lo faccio da credente». 

Lei però ha deciso di tornare a vivere in provincia. Ed è lì che ha lavorato il disco. 

«Perché percepisco di più il senso della comunità, della relazione, della lentezza. Qui ho portato tutto l’entourage. Qui ho prodotto con Giovanni Pallotti, Ricky Damian, Pino Pinaxa e Gigi Barocco. Più che una fuga dalla città a causa della pandemia, per me è stato un ritorno. Io ci sto bene. Dipende dalla mentalità con cui si affronta la provincia». 

La sua ultima volta al Festival era stata nel 2021 con Fedez con "Chiamami per nome". Che pensa di quello che ha scatenato il rapper in questi giorni?

«Penso che è Fedez. Lui è così. Fedez era riuscito pure a spoilerare il pezzo in gara tanto che per poco non ci squalificavano (ride, ndr)». 

«A quel Sanremo mi sono sentita vecchia, boomer e demodè». Ritiene la sua musica più di nicchia che mainstream? 

«Ho fatto nicchia e mainstream ma a modo mio. Brani come "Vulcano", "Io non abito al mare" e "Nessun grado di separazione" non erano main ma lo sono diventati. Credo di avere reso molto personale il mio cantautorato. Dal 2011, da quando ho iniziato, a oggi la musica italiana ha attraversato un cambiamento epocale a una velocità così sostenuta che non si vedeva da anni. Dall’indie, alla trap all’it pop. Ho sperimentato, sì. Ma perché è giusto provare. Mi sono sentita dire tante volte da produttori che il mio pezzo non avrebbe funzionato. Io credo che ognuno di noi debba avere una cifra specifica, altrimenti non ha senso ascoltare una Michielin o un altro artista. Saremmo tutti uguali. Fare musica per me è evolvermi e diventare sempre di più me stessa. Per evoluzione intendo anche il lavoro di produzione, non solo delle mie canzoni ma anche di quelle degli altri. Come è successo con "Liberi" con Fabri Fibra». 

E che pensa di Marco Mengoni che ha dedicato la vittoria alle artiste in gara?

«Ha fatto un gesto importante. Se qualche anno fa la cinquina dei finalisti fosse stata al maschile forse non avrebbe destato attenzione. Sta cambiando la mentalità collettiva. Ma c’è tanto da fare ancora per la parità e la meritocrazia. Si pensi che c'era una sola direttrice d’orchestra su 28 in gara, per esempio». 

Ma oggettivamente e numericamente ci sono molte meno donne che uomini alla direzione d'orchestra. Non pensa piuttosto che si debba considerare la canzone a dispetto della quota? 

«Si, certo. Ma penso che ci sia un po’ di misoginia nel votare più i maschi che le femmine (un po’ come l’invidia che si scatena sui social contro una donna di successo come Chiara Ferragni). La domanda è: a parità di qualità di canzoni, chi vincerebbe? I maschi o le femmine?». 

Quando scrive nella canzone una frase come “Dove sono gli artisti, vedo solo populisti”, cosa vuole dire? 

«Chi fa musica pop non deve perdersi a parlare solo di se stesso, perché la musica può aiutare e salvare. I cantautori non devono dimenticare il loro ruolo e non devono per forza piacere a tutti. Un artista deve sapere scuotere anche stando antipatico. Come da grandi poteri derivano grandi responsabilità, così dai grandi privilegi». 

La responsabilità dell'artista passa anche dai testi che a volte sono dichiaratamente sessisti? 

«Credo che nel 2023 non abbia più senso scrivere testi sessisti. È vero percò che l'artista deve essere lasciato libero di scrivere, come è vero che all’artista non deve essere chiesto di fare il politico.

La realtà è che mancano i politici, per cui si chiede all’artista di esserlo. Lo so, è un dissidio, ma mancano riferimenti culturali e andiamo a chiedere all’infuencer di esporsi. Si veda quando mi hanno criticato perché ero andata alla sfilata di Moschino dopo un tweet male interpretato dove non parlavo certo di resistenza partigiana. Bisogna imparare a contestualizzare. E nessuno di noi è capace di farlo». 

Lei si sente fragile? 

«Mi sono spesso sentita incompleta che significa, citando Calvino, essere giovani». 


Ultimo aggiornamento: Domenica 26 Febbraio 2023, 11:12
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