Federico Zampaglione: «Faccio canzoni senza età, non credo nella musica ascoltata nei telefonini»

Federico Zampaglione: «Faccio canzoni senza età, non credo nella musica ascoltata nei telefonini»

di Rita Vecchio

«It’s a big day, baby». Il giorno è ieri, quello della prima del film Morrison. E lui è Federico Zampaglione. Il frontman dei Tiromancino non sta nella pelle: ritorna nei cinema (appena riaperti dopo la tempesta covid) con una pellicola tratta dal suo  romanzo scritto con Giacomo Gensini, “Dove tutto è a metà”. Questa volta non è un film horror o dark. Ma «un immaginario emotivo e umano che finora avevo evocato solo nei miei dischi». Al centro, la musica: quella di oggi e quella di ieri.  Nella colonna sonora, Cerotti con Gazzelle, “Er Musicista” scritto con Franco126 con citazioni di Califano. 

IL FILM NELLE SALE

C'è voluto più coraggio o più incoscienza nel girare il film? 

«Coraggio, amore, cuore. Tra autorizzazioni, covid manager e tamponi, del domani non c’era certezza. Sul set (location principale il Lian, il locale sul barcone del Tevere, ndr) un clima di truppa in guerra che combatteva contro le avversità e che voleva farcela. Un senso di urgenza nel non arrendersi, una parentesi positiva». 

L’artista, in questi casi, o si blocca o crea. 

«A me sono successe tutte e due le cose. Nelle prime settimane di lockdown mi ero fermato. Pensavo alla salute di mio padre, di mia figlia, di tutti i miei cari. Poi mi sono messo di fronte alle responsabilità che avevo nei confronti degli altri, di chi era solo a casa, di chi non aveva nulla. La prima diretta live con la mia musica, i cortometraggi thriller con Giglia (Marra, ndr, personaggio nel film e sua compagna nella vita) e Linda (la figlia nata dalla relazione con Claudia Gerini, ndr). E poi  è arrivato come per magia Morrison, un film che parla di musica, di relazioni, di emozioni».

Il protagonista è Lodo, il ragazzo che sogna di fare il musicista. E poi c’è Libero, la rockstar che fatica a stare al passo coi tempi. In chi si rispecchia Zampaglione?

«In entrambi. Di quando ho iniziato, in giro con il furgone e a suonare nei club. E in Libero, perché i momenti brutti li ho incontrati pure io. Libero è l’ex rockstar ammazzato dalla sua stessa creatività. La droga nello sfondo appena accennata. Lo scoraggiamento, la depressione. Il peggior nemico è se stesso».

A lei è capitato?

«Sì, è capitato (pausa, ndr). “Finché ti va”, “Cerotti”, sono pezzi stropicciati, pezzi con cui sono tornato alla musica dopo un momento difficile.

Pezzi che mi hanno dato emozione. Per me il successo è questo». 

Pesa il successo?

«Nella mia equazione la parola successo non compare mai. Per me conta saper suonare, sapere scrivere. Il successo ti viene messa addosso». 

Si è mai sentito non contemporaneo?

«No. Non credo nelle mode, io credo nella canzone che non ha età. Non credo nella musica ascoltata nei telefonini».

Lo sa che lei è un punto di riferimento per la nuova scena musicale. 

«Vero. Ed è bellissimo quando le nuove generazioni chiedono di ascoltare il tuo lavoro. Non è scontato, per loro potrebbe essere roba vecchia. La nuova scena romana, Franco 126 e Gazzelle, Galeffi, Calcutta, o Ermal Meta ed Alessandra Amoroso (che hanno due piccole parti nel film). Con loro è uno scambio alla pari. Non mi sento un maestro, semmai il fratello maggiore (e strizza l'occhio ndr)».

E i suoi di maestri?

«Lucio Dalla, Franco Califano. Ma su tutti, Roberto Ciotti, l’Eric Clapton italiano, il più grande blues man italiano. Artisti  importanti con cui ti dovevi confrontare ma dai quali imparavi. Ho deciso di fare questo nella vita proprio dopo un concerto di Ciotti al Big Mama di Roma. Avevo 17 anni. Mi ci portò mio padre. Non lo dimenticherò mai». 

Il rapporto padre figlio è uno dei temi trattati in Morrison.

«Anche se, a differenza del film, io ho un rapporto fantastico con il mio. Una persona di grande cultura, innamorato di musica, cinema, letteratura. Uno di quei padri che non ti regala nulla, ma che mi ha dato tutto». 

Lui ha visto il film? 

«Sì. Lo ha definito: “Un bel film”. Senza strafare». 

Tra i ringraziamenti, Marco Conidi, perché?

«Doveva fare un ruolo in Morrison. Non ha potuto, ma è come se ci fosse. Un caro amico, artista e attore bravissimo». 

Ma la passione per il cinema quando è nata?

«Con il corto di “Un tempo piccolo”. Poi ci fu Shadow, un film andato bene in tutto il mondo ma pieno di pregiudizi. Quando si seppe che Federico Zampaglione, il cantante melodico e romantico, faceva l’horror, fui fatto a pezzi. Ero diventato il pagliaccio perfetto da deridere. Ma a me non è fregato nulla»

Dorme tranquillo?

«Sì. Ma sono con le cuffiette nelle orecchie. La musica è l’aria per me».


Ultimo aggiornamento: Sabato 22 Maggio 2021, 08:33
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