Ermal Meta ai Seat Music Awards all'Arena di Verona: «Noi cantanti siamo come dei calciatori: senza una squadra non saliamo sul palco. Urge ripartire. Il Governo deve fare qualcosa»

Ermal Meta ai Seat Music Awards all'Arena di Verona: «Noi cantanti siamo come dei calciatori: senza una squadra non saliamo sul palco. Urge ripartire. Il Governo deve fare qualcosa»

di Rita Vecchio
«Alcuni cantanti si sentono dei tennisti. E invece dobbiamo sentirci dei calciatori: abbiamo bisogno di una squadra». Ermal Meta va dritto al senso dei Seat Music Awards - seconda data stasera (la prima di mercoledì scorso ha registrato 4.094.000 di spettatori con il 22,2% di share) in diretta sempre dall’Arena di Verona su Rai 1 con Carlo Conti e Vanessa Incontrada - dove per la prima volta sono gli artisti che dedicano il premio ai lavoratori dello spettacolo. Insieme al cantautore di origini albanesi che ha scritto brani top in classifica, stasera saliranno sul palco Achille Lauro, Boomdabash e Alessandra Amoroso, Bugo, Il Volo e tantissimi altri artisti. «Essere qui è un dovere. Emotivamente è molto importante, e la ragione dell’evento lo è ancora di più».
 
 


Finalmente live dopo mesi di stop?
La musica si occupa in questo caso della musica stessa, ovvero di chi la rende possibile. Noi saliamo sul palco grazie a chi lavora con noi. Un proverbio dice: gli attaccanti alzano le coppe, ma i difensori vincono le partite. Sono i “difensori” che ci permettono di salire sul palco. Ricordiamocelo.


Al bando l’egocentrismo, quindi. 
Alcuni cantanti si sentono dei tennisti. E invece siamo dei calciatori. E abbiamo bisogno di una squadra. Con il bonus non si risolve il problema. Non è un mondo sommerso. Non è illegale. Il Governo deve intervenire in modo strutturato e serio.


Non lo ha fatto finora abbastanza?
É scattata una pandemia, per carità è un inferno. Ma c’è un qualcuno, magari Franceschini, che dovrebbe ricordarsi di fare qualcosa di più per tutti i lavoratori dello spettacolo. Non dico che non lo abbia fatto, ma non serve il bonus. Ci sono famiglie che non arrivano a fine mese. L’Italia non è un paese per giovani e magari si debba chiamare lavoro solo quello dietro una scrivania. Ma ci sono 500mila persone che lavorano attorno alla musica che hanno bisogno di un aiuto strutturato. Urge ripartire. 

Progetti immediati? 
Mi chiuderò in studio a registrare. Nel lockdown sono stato paralizzato. Ho scritto durante l’estate. 
Ultimo aggiornamento: Domenica 6 Settembre 2020, 10:24
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