Enrico Ruggeri: «La mia canzone per Chico Forti come fece Bob Dylan per Hurricane»

Enrico Ruggeri: «La mia canzone per Chico Forti come fece Bob Dylan per Hurricane»

di Rita Vecchio

Una canzone per Chico Forti, L’America. Un nuovo romanzo e un album di inediti in lavorazione. Enrico Ruggeri non si ferma. Prende il meglio dai mesi di lockdown per tradurlo in musica e parole. «Non sono il solo. Pellico ha scritto “Le mie prigioni”, Gramsci ha scritto “Le Lettere dal carcere” e io ho scritto un romanzo (ride, ndr). Le cose migliori arrivano nel momento di avversità».

L’America, il brano per Chico Forti, sportivo e produttore tv che ieri ha compiuto 62 anni e che dal 2000 è in carcere negli Stati Uniti condannato all’ergastolo per un omicidio per cui si è sempre dichiarato innocente «nasce da una storia che mi emoziona. Mi auguro che quello di ieri sia il suo ultimo compleanno lontano da casa». 


Le ultime notizie dicono che potrebbe tornare in Italia. 
«Speriamo. Le sue vicissitudini mi hanno riportato a Hurricane con cui Bob Dylan diede una spallata alle vicende di Carter. L’incontro con lo zio mi ha messo di fronte una persona che lotta, che non si arrende, che a 80 anni continua a cercare verità. Chico era un imprenditore di successo, non un diseredato. Se si fosse dichiarato colpevole, gli avrebbero subito dato la grazia. Gli americani non vogliono dire la frase “abbiamo sbagliato”». 


Una vicenda di mala giustizia? 
«Di mala giustizia. Di approssimazione, di rancore, di razzismo nei confronti degli italiani. Se invertiamo le parti, si vede che non c’è un americano che paga fuori dai suoi confini.

Il video del brano è simbolico ed è girato insieme al fumettista Massimo “Chiod” Chiodelli e al documentarista Thomas Salme».


Questi mesi sono stati produttivi per lei. Il romanzo…
«“Un gioco da ragazzi” parla di un Paese dal dopoguerra in poi attraverso una famiglia tra politica, musica, amori furiosi e personalità diverse». 


Se questa famiglia vivesse oggi?
«Oggi è cambiato tutto. Oggi ti danno del fascista se togli la mascherina invocando la libertà. Un mondo capovolto che merita una lettura attenta». 


E il nuovo disco. 
«Oramai invece che offrire cene, offro tamponi. E facciamo musica in studio. Dire di fare un album oggi è ridicolo. Non si vendono più». 


Cosa significa essere cantautore oggi?
«Significa rivolgersi a una élite dell’anima. C’è gente che non è interessata alla valenza di una canzone. Dagli anni ’50 in poi eravamo stati abituati bene, dove alla bravura corrispondeva fama e ricchezza. Ma pensi a Mozart, morto in una fossa comune o a Beethoven, morto incazzato con il mondo».


E i live?
«La politica ha dimenticato il mondo dell’arte e delle migliaia di persone rimaste senza lavoro. La famosa frase dei “cantanti che fanno divertire” pronunciata sicuramente in un momento di confusione del Paese, pesa come un macigno. Tuttora». 
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Ultimo aggiornamento: Martedì 9 Febbraio 2021, 14:00
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