Curto, cantautore “a modo suo”, dalla vittoria a «The Voice» a quella di «Musicultura».
Adesso il nuovo disco e via col tour

Curto, cantautore “a modo suo”, dalla vittoria a «The Voice» a quella di «Musicultura». Adesso il nuovo disco e via col tour

di Totò Rizzo

Come tutti i calabresi, Fabio Curto è uno tenace e, seppur facendo l’artista non abbia particolari smanie di successo e non sgomiti per apparire a tutti i costi, senza fretta riesce a centrare l’obiettivo. Così, dopo aver vinto un talent televisivo massimamente popolare (“The Voice” nel 2015) e un concorso ormai popolare anch’esso ma ammantato ancora dal cotè di un cantautorato nobile (“Musicultura” nel 2020), si affaccia alla ribalta col suo nuovo album “Rive volume II”, 13 brani di cui uno anche in special edition con Angelo Branduardi (“Madre Terra”) e la partecipazione straordinaria dei Modena City Ramblers (“Il mio cuore”), di Cisco e Fry (“La terra dei miei figli”) e la consulenza di un arrangiatore e direttore d’orchestra di lungo corso come Fio Zanotti.

Se “Rive volume I” era «un album di chiaroscuri, di ombre, dalle influenze folk/blues che mi contraddistinguono, questo secondo è pieno di luce, di ottimismo, chitarre ad accordature aperte, violini, violoncelli – dice Curto dalla campagna umbra dove ha deciso di andare a vivere con la compagna durante il primo lockdown –. Se nel primo le tematiche erano metropolitane e i testi un po’ ermetici denunciavano una disarmonia, adesso c’è una sensazione di rinascita, di progettualità, di felicità come scelta e anche laddove la malinconia s’insinua, è una malinconia dolce, non cupa. Voglio puntualizzare: pandemia, chiusure forzate e ripartenza non c’entrano nulla. Erano canzoni che avevo scritto prima». No stress, per l’appunto, ogni cosa a suo tempo, sembra il motto di Curto, lontano dalle meccaniche diaboliche dello show business.

Racconta: «Dopo “The Voice” mi sono ritirato in campagna per due anni, ho vissuto mesi terribili, di grande disagio, ero diventato degli altri e non appartenevo più a me stesso, dovevo soddisfare le aspettative dei discografici e non assecondare la mia voglia di fare qualcosa che mi piacesse realmente. Certo, sono grato a quell’esperienza per la popolarità che mi ha dato, ma subito dopo mi sono trovato circondato da falsi amici e cattivi consiglieri, mi sono limitato a fare il cantante alla vecchia maniera e così, una volta onorati gli impegni contrattuali, ho detto basta e ho recuperato la mia libertà. Tutt’altra storia con “Musicultura” dove avevo presentato alcuni brani di ascolto più immediato rispetto ai miei soliti e invece la commissione ha scelto e premiato “Domenica”, una canzone che non avevo messo in lista, un po’ più complessa delle altre sotto il profilo della musica e del testo.

Mi hanno felicemente stupito».

Anche quelli che hanno collaborato all’album, Curto li ha scelti «in linea con il mio spirito: la vena folk dei Modena City Ramblers che era quella che ispirava le mie origini quando suonavo nelle street band, Branduardi che è stato un precursore negli anni ’70 di quello che oggi viene etichettato etnico con la sua straordinaria ricerca strumentale e infine Fio Zanotti che ritengo un cultore della bellezza in musica». Nonostante legato al suo buen retiro umbro, Curto sembra un nomade dello spirito e delle note. «Ho sempre un po’ di paura a fermarmi nello stesso posto, le suggestioni arrivano da nuovi itinerari, da nuove esperienze, non mi adatto alle comfort zone: sono nato artista di strada. Certo, magari tiro fuori il meglio in un teatro ma per me non fa differenza suonare in un festival in Australia o in una piazza di una qualsiasi provincia italiana». Però i luoghi del cuore ce li ha pure lui e, a parte Acri, nel Cosentino, dove è nato, c’è Bologna dove ha vissuto più a lungo, s’è laureato in Scienze politiche e si è formato musicalmente con i suoi compari de La Vanguardia, la street band che ha cominciato a far furore tra via Rizzoli e Piazza Maggiore.

Ha nostalgia di quei tempi: «Due anni fa abbiamo fatto una reunion con sette concerti, siamo stati anche fuori Italia, mi auguro di rifarlo nuovamente». Bologna significa anche gli storici studi della Fonoprint dove ha voluto registrare. «Dove non esistono pregiudizi, dove non devi essere necessariamente influenzato dall’indie, dove nessuno ti dice “questa cosa andrebbe fatta alla maniera di…” oppure “sì, bello questo brano ma è vecchio”, ma che vuol dire “è vecchio”? Per fortuna la musica va avanti lo stesso, nonostante i beatmaker, e ha tutta quanta diritto di cittadinanza: se il trap, che è un genere lontanissimo da me, ha successo, un motivo ci sarà, no?». Curto a volte si chiede solo – ma senza troppo affanno – quale sia il suo pubblico. «Io ipotizzavo un ventaglio di persone che si aprisse dai 35 ai 60 anni. Poi l’altro giorno sono andato per caso a guardare le condivisioni di “Aria”, uno dei brani del nuovo album, e ho scoperto tantissimi ragazzi». Gli stessi che spera andranno ad ascoltarlo nei primi concerti del tour: Milano (sabato 17 luglio), Cosenza (il 18) e Bologna (il 23).


Ultimo aggiornamento: Venerdì 16 Luglio 2021, 10:23
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