Carmen Consoli: «Volevo fare la rockstar? Un disco tra ricordi e nostalgia per cercare la via alla felicità»

Il nuovo album in uscita oggi, a sei mesi da L'abitudine di tornare: «La pandemia ha bloccato tutto»

Carmen Consoli: «Volevo fare la rockstar? Un disco tra ricordi e nostalgia per cercare la via alla felicità»

di Claudio Fabretti

ROMA - «Volevo fare la rockstar fin da ragazzina, a Catania, mentre sognavo con i blues dei miei idoli: Elvis Presley, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jefferson Airplane, Led Zeppelin». Detto fatto per Carmen Consoli, che a suggello della missione (compiuta), le dedica anche il titolo del nuovo, attesissimo album, in uscita oggi, a distanza di sei anni dal predecessore, L’abitudine di tornare (2015).


L’abitudine si è diradata: come mai questa lunga pausa?
«In realtà, la maggior parte dei brani era pronta da 2 anni. Poi la pandemia ha bloccato tutto. Il disco era rimasto in freezer, ma ora finalmente può uscire».


Nel singolo “Una domenica al mare” si percepiscono la nostalgia, il desiderio di fermare il tempo.
«Abbiamo bisogno di tempo, per le gioie, per i dolori, per giungere alla felicità, come in una gravidanza. Ma oggi il tempo è denaro, e diventa uno spreco anche solo approfondire, riflettere. Perfino la Storia viene aggiornata di continuo, rimuovendo la memoria come in 1984 di Orwell. Bisogna restituire dignità alla memoria».


E magari prendersi più tempo, come “Gli alberi che camminano”...
«Quel brano è ispirato dagli olivi pugliesi. Ho scoperto che si spostano di un tot ogni anno. Bello, vero?».


Come sarà il “Volevo fare la rockstar Tour”?
«Partirà a Parma il 4 novembre terminerà a Roma il 27 dicembre 2021. Vorrei con me un quartetto d’archi, una tromba, un chitarrista, un percussionista e un po’ di tastiere e giocattolini retrò tipo Roland».


E stato emozionante esibirsi a New York?
«È stato come coronare un sogno.

Le canzoni più apprezzate dal pubblico americano erano quelle in dialetto: forse facevano un effetto “world music”...».


È riuscita a fare la rockstar, ma non fa più rock come agli esordi. Ha mai pensato di tornare a quei suoni?
«Ogni tanto mi torna la voglia: con Marina Rei, ad esempio, mi diverto a fare set di chitarra, batteria e voci, con l’acustica attaccata a due amplificatori: fa un baccano pazzesco! Però rock per me è un’attitudine più che un suono: come Joan Baez a Woodstock, Bob Dylan, il nostro Fabrizio De André: quanto era rock la storia del nano di Un giudice?».


A proposito di maestri, l’abbiamo vista a Verona omaggiare Franco Battiato. Che rapporto avevate?
«Era un amico generoso, mi ha sempre dato consigli. Mi diceva “abbassa di un tono quella voce”, non gli piacevano le urlatrici. E poi: “Non fare sempre quello che vuole la gente, il pubblico va disatteso". Non frequentava la mondanità, ma a casa sua ospitava tanti artisti, era un viavai. Da me però veniva: eravamo vicini di casa e andava ghiotto per lo spezzatino vegetale che preparava mia madre Maria Rosa. Era una persona speciale, pura come un bambino, e di grande ironia».


Ha raccontato di aver avuto suo figlio Carlo a Londra, con la fecondazione assistita. In Italia non siamo pronti?
«Non lo nascondo: è stata dura. Avrei evitato volentieri questa gran fatica e mi sarebbe piaciuto avere mio figlio “macari co’ piacere”, come si dice da noi. Però nel mio caso ha funzionato anche il modello “mamma single”: a scuola mio figlio è considerato molto equilibrato. L’importante è che ci sia spazio per tutto e che non si resti ancorati a dogmi medievali».


Ultimo aggiornamento: Venerdì 24 Settembre 2021, 13:31
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