Ritorna Caparezza e con il nuovo album squaderna ogni certezza, semmai ce ne fosse rimasta qualcuna, rivolta come un guanto pensiero dominante e luogo comune. Scrivendo anche grande musica. «Volevo fare un disco allegro», dice presentando “Exuvia”. E menomale, ironizza qualcuno. Ma l’ottavo figlio del cantautore pugliese non è un album triste né pessimista, è solo un album diverso dai precedenti sette fratelli. Divertente ma certamente inquietante. «Ci sono argomenti più malinconici che negli altri, c’è un modo di suonare e cantare meno aggressivo, io sono uno nato nel ’73, chitarre distorte e volume al massimo e invece qui…». Invece qui è lui che è cambiato con i suoi 47 anagrafici e due decenni abbondanti di carriera. Però, anche stavolta, inutile incasellarlo perché «ogni volta che ci provano io mi smarco».
Non è semplice raccontare “Exuvia”, più album di grande concetto che semplice concept-album. Intanto l’exuvia è la muta dell’insetto, ovvero ciò che rimane del suo corpo dopo aver sviluppato un cambiamento. Il più evidente dei quali «è una malinconia che mi accompagna da un po’: non è un connotato negativo, si chiama crescere». E crescendo si fanno i conti con tante cose.
La scena del nuovo disco è una foresta, un bosco, una selva. Più o meno oscura. Da attraversare. Nel cammino ci si imbatte sul tema della maturità, per l’appunto, raccontato in “El sendero” accompagnato dalla bellissima voce di Mishel Domennsain, un ponte vocale Molfetta-Città del Messico. «Mio nonno ha fatto la guerra a 19 anni, mio padre sognava di diventare cantautore ma ha dovuto dire addio ai suoi sogni perché rimasto orfano troppo presto. Della famiglia sono io l’unico che è riuscito a fare quel che voleva: l’artista. Eppure sento che, nei confronti della vita, nei loro occhi c’è uno sguardo che io non ho».
Altro tema: la morte, affrontata ne “La certa”: «È un incontro che paradossalmente ti invita alla vita, una morte che ti motiva a sfruttare il tempo che hai, a non gettarlo via e ad allontanare così quanto più possibile l’appuntamento con lei».
C’è tanto altro: il far piazza pulita dell’affettata spiritualità naturalistica in “Contronatura”, il piacere dell’andar controcorrente e di fare il guastafeste in “Azzera pace”, l’ambiguità affascinante delle maschere (sociali e non) in “Eyes wide shut”, la riscoperta dello stupore ne “Il mondo dopo Lewis Carroll”, la dimensione del tempo (ispirata dal suo congelamento durante il lockdown) in “Zeit!”.
Un disco lontano miglia e miglia dal mainstream nostrano, dunque, anche se qualcosa di interessante da noi si può ancora trovare, dice Caparezza, «è sempre più difficile perché tutto è regolato dal magico mondo della hit radiofonica ma, ad esempio, l’ultimo Marracash mi è assai piaciuto, una prova matura».
Per il resto, Caparezza ammette che «il mondo è cambiato non perché la società si sia incattivita per il fatto che a molti gli prude il dito se ogni giorno non sparano a zero su tutto e su tutti attraverso i social, sono proprio i modelli che sono mutati: nella politica, nei rapporti personali, nella musica, è tutto più frettoloso, più superficiale». Come a suggerire: prendetevi pure il tempo che ci vuole anche per ascoltare il mio disco.
Ultimo aggiornamento: Domenica 9 Maggio 2021, 14:26
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