Gli America, tour con tre date in Italia. «Un concerto lungo cinquant'anni»

Gli America, tour con tre date in Italia. «Un concerto lungo cinquant'anni»
«Siamo insieme da 50 anni e ci divertiamo ancora a suonare. Siamo fortunati, non ci siamo mai sciolti, così non abbiamo neanche dovuto fare una reunion». Gerry Beckley - voce, chitarra e tastiere degli America - risponde con lo stesso timbro gentile che ha reso immortali hit come I Need You, A Horse With No Name, Ventura Highway e Survival. E non vede l'ora di tornare in Italia, per i tre concerti in programma a ottobre (13 a Roma, 14 a Bologna, 15 a Milano).
Beckley, che cosa proporrete nei vostri live?
«Tante hit: saranno la parte principale dello show, ma ci sarà anche spazio per altro materiale, incluso quello del nostro ultimo album Lost & Found».
Come è cambiato il vostro suono oggi?
«Sono cambiate le tecnologie, le modalità di produzione. Ma scrivere canzoni è rimasta la stessa cosa».
Eravate figli di militari statunitensi, di stanza nel Regno Unito. La vostra America era più sognata o reale?
«Quando sei figlio di militari in missione, fatichi a mettere radici in un paese. Io sono nato in Texas, ma a un anno mi portarono in Inghilterra. Poi sono stato per un po' in Nebraska. Ad esempio, Ventura Highway era basata sul ricordo di un periodo in California».
E poi c'era la musica che univa le due sponde dell'Atlantico...
«Amavano gruppi americani come Beach Boys e Buffalo Springfield. Io adoravo Neil Young: Horse With No Name deve molto a lui. Era buffo: vivevamo a Londra, ma assorbivamo ricordi e suoni americani».
Folk, rock e pop: queste le vostre coordinate?
«Sì, ma ognuno con influenza diverse. Io mi sono formato tra country e classica: mia madre era appassionata di romanticismo russo, quindi Rachmaninoff, Tchaikovsky... quei suoni mi sono rimasti dentro. Da ragazzino mi sono appassionato alla British Invasion: ho fatto un'indigestione di pop, e di blues alla Animals».
I Need You è stata la prima canzone che ha scritto?
«Forse non la prima, ma una delle prime. Avevo solo 17 anni. Da appassionato dei Beatles, conoscevo la I Need You di George Harrison. Lo incontrai a Londra e gli chiesi il permesso di usare il titolo. Ma il riferimento musicale erano i Bee Gees di First Of May».
Però la chitarra di Harrison si percepisce nelle vostre canzoni. Ad esempio, in Sister Golden Hair...
«Non è un caso. Lui è uno dei miei chitarristi preferiti. Non certo per la velocità o per la tecnica, ma per la sua grande sensibilità pop. George Martin ci raccontò come And I Love Her fosse tutta nel suo arpeggio di chitarra, in quelle quattro note».
Com'è stato lavorare con lo storico produttore dei Beatles?
«Un grande dono per noi. Martin si rese disponibile e ci aiutò molto. Con lui nacquero hit come Tin Man, Lonely People e proprio Sister Golden Hair».
Anche suo figlio Matthew è un musicista. Ha lavorato con Katy Perry e Britney Spears. Come vivete il vostro rapporto?
«Lui è più che altro un produttore, si occupa delle parti vocali. Scherzando, mi dice che l'ho rovinato facendogli ascoltare la nostra musica e sottolineando tutti i dettagli: così è diventato un perfezionista».
In Italia siete stati anche a Sanremo, nel 1992, con Survival. Cosa ricorda?
«Era è una cosa un po' folle. Insieme a noi quell'anno c'erano anche i Van Halen e gli Stray Cats! Ricordo questo bel paesino dove ti sedevi a tavola e non cenavi prima di mezzanotte».
Gli America come vedono l'America di oggi?
«Da elettori democratici, siamo preoccupati. Trump non vuole rappresentare tutti. Sono tempi di divisioni, e non solo negli Usa».
Come festeggerete i 50 anni di attività?
«Ci saranno concerti, un documentario tv, un box e un'antologia. Insomma, ci sarà tanto da festeggiare!».
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Ultimo aggiornamento: Martedì 18 Settembre 2018, 12:54
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