Giffoni Film Festival, Linda Caridi: «Il sogno? A teatro con Tilda Swinton»

Giffoni Film Festival, Linda Caridi: «Il sogno? A teatro con Tilda Swinton»

di Alessandra De Tommasi

Un'incantevole anima antica: l’attesa per Linda Caridi - uno dei talenti più promettenti, anzi una conferma della nuova generazione di attori made in Italy – al #Giffoni50Plus si può sentire nell’aria. Per la prima volta sul blu carpet dell’evento campano a Giffoni Valle Piana (21-31 luglio), commuove ed emoziona, come per le performance amatissime su piccolo e grande schermo, da Lacci a Ricordi?, per cui ha ottenuto una candidatura ai David di Donatello. In dieci anni è stata diretta da registi molti diversi, inclusi Paolo Genovese (La banda dei Babbi Natale e Supereroi) e Marco Tullio Giordana (Nome di donna), dimostrando una versatilità incredibile e capace di toccare sia corde drammatiche che comiche.

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Cosa l’ha spinta a partecipare al Festival per ragazzi?
«Sono piena di meraviglia all’idea che i giovani facciano a gare per avere un posto in presenza, in un’esperienza condivisa dal vivo in un evento come questo. Mi hanno detto che in una sola ora dall’apertura delle iscrizioni si arriva già a quota 4000-5000 domande. Mi rincuora che i ragazzi, a dispetto dell’isolamento di quest’ultimo periodo e del proliferare delle piattaforme streaming, ancora abbiano voglia di essere in casa».

Lei che bambina era?
«I miei genitori mi raccontano che durante le vacanze in montagna e dopo le cene con gli amici di famiglia io li costringevo ad assistere ad una recita in cui di solito imitavo i presenti, mettendo una pancia finta sotto la maglietta e rubando le scarpe a mamma o papà. Insomma già allora li costringevo tutti al gioco».

Qual è il prossimo progetto di questa sua estate?
«Il 29 agosto il mio monologo teatrale “Il bambolo” apre Todi Off. Racconta l’abuso dell’infanzia, l’anoressia e l’abbandono, tematiche forti ma in parte stemperate da una relazione tragicomica con questo bambolo gonfiabile che mi porto in riva al mare».

Che rapporto ha con il teatro?
«Faccio parte di una compagnia teatrale che si chiama The baby walk, ispirato ai Giardini di Kensington che poi portano Peter Pan alla Serpentine e poi all’Isola che non c’è.

Abbiamo debuttato con una trilogia sulla transessualità per cercare con semplicità parole che diventino battaglia. Il titolo ha subito vari cambiamenti passando da “Trilogia sull’identità di genere” a “Trilogia sull’identità” e basta».

Di cosa si tratta?
«Sono tre spettacoli che abbiamo proposto prima della pandemia come un’unica maratona in vari teatri, ciascuno racchiude un periodo della vita (infanzia, adolescenza e maturità). Racconta, ad esempio, la storia di un bambino di 11 anni che è nato nel corpo di una bambina e quindi non va d’accordo con la sua ombra, e di una seduta d’analisi per arginare figure ingombranti della vita del protagonista (la fidanzata e la madre) e per superare la definizione stessa di transizione».

Perché il tema le sta a cuore?
«Chi vive una dicotomia di genere deve essere ascoltato e poter manifestare se stesso. È un problema societario quando scatena addirittura violenza invece di naturale accettazione. La varietà deve esprimersi».

Lei si è mai sentita fuori posto?
«A dire il vero mi capita continuamente, per questo la mia pelle reagisce così di fronte al disagio altrui. Ho un’inclinazione all’empatia e a mettermi nei panni degli altri e questo mestiere mi ha permesso di essere al servizio di quest’idea».

Chi inviterebbe come ospite della sua trilogia?
«Tilda Swinton, una creatura ultraterrena che sembra in visita da un altro, meraviglioso, pianeta».


Ultimo aggiornamento: Giovedì 22 Luglio 2021, 20:49
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