Alessio Lapice al Giffoni Film Festival: "Quella volta in cui da bambino ho quasi bruciato la casa"

Alessio Lapice al Giffoni Film Festival: «Quella volta in cui da bambino ho quasi bruciato la casa»

di Alessandra De Tommasi

Il Golden boy del cinema italiano, Alessio Lapice, ha conquistato il Festival per ragazzi di Giffoni (21-31 luglio) con simpatia e semplicità. Il grande pubblico l’ha conosciuto prima come Romolo accanto ad Alessandro Borghi ne Il primo re per poi ritrovarlo in Natale in casa Cupiello con Sergio Castellitto. Star dell’ultimo video dei Negramaro, sarà in autunno nel cast della serie Netflix Luna Park, per poi tornare al cinema con Io sto bene di Donato Rotunno (in anteprima alla prossima edizione di Alice nella città, durante la Festa del cinema di Roma). Nella cittadina campana riceve, emozionato, il Giffoni Award e si racconta ai piccoli giurati con grande passione.

Com’è stato tornare sul set durante la pandemia?

Girare per Roma deserta alle 3 di notte per Luna Park è stato incredibile, mi sono sentito un privilegiato in un periodo in cui molti erano a casa o hanno perso il lavoro. Una sera ero con gli altri colleghi del cast a bere qualcosa tra una ripresa e l’altra, ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti: “Siamo proprio fortunati”.

Cosa ci può anticipare della serie Luna Park?
È una storia ambientata negli Anni 60, con flashback durante la Dolce Vita romana. Due famiglie con i rispettivi figli s’incrociano per via di varie vicissitudini. Il resto è top secret.

Che tipo di bambino era?
A quattro anni adoravo i modellini delle macchine, li montavo e smontavo dieci volte al giorno, facevo le scenografie delle battaglie e una volta ho bruciato anche il terrazzo di casa, con buona pace di mia madre.

Era curioso?
Moltissimo: quando compravo un’automobilina volevo sapere tutto: che pezzi avesse dentro, da dove arrivava, come si chiamava il negoziante da cui l’avevamo comprata, quanti figli avesse…

E poi?
Un giorno a 16 anni un amico mi ha invitato ad assistere alle loro prove teatrali, io non sapevo fare niente ma ci sono andato lo stesso.

Alla fine mi hanno dato la parte di quello che porta un caffè in scena, che sembra irrilevante ma per me ha significato tutto. Mi piaceva quell’idea di stare insieme, di lavorare in squadra e ho imparato lezioni importantissime sulla pazienza di aspettare il proprio turno, sul rispettare le opinioni diverse e sul provare per gli altri empatia e mai giudizi.

Quale sfida l’attende per Io sto bene?
Recitare non solo in italiano ma in francese. Mi ha affascinato conoscere la cultura cinematografica degli altri e vedere un approccio diverso dal nostro. Racconto un ragazzo che emigra negli anni Sessanta e con lui ho riscoperto quel tempo con grande emozione.

Un momento indimenticabile de Il primo re?
In una scena in cui davamo fuoco ad un villaggio noi del cast non avevamo sentito lo stop e siamo rimasti a recitare le battute vicini al fuoco, le guance sfrigolavano per il calore e stavamo per bruciare pure noi finché Alessandro Borghi ci ha detto di tagliare la corda.

Non è stato il protolatino la parte più difficile?
Assolutamente no: erano il freddo, il fango, la mancanza di sonno e anche la fame perché mangiavamo pesce lesso e scondito per mantenere la magrezza richiesta dalla parte ma poi calava la concentrazione e faticavamo il doppio. Peraltro spesso doveva essere buona la prima: pensa a noi alle due di notte nudi e bagnati con otto gradi in una cava o in una palude.

Si considera un ottimista?
Sempre. Dovrebbero esistere i TG dedicati solo alle buone notizie perché d’inquietudine, specie negli ultimi tempi, ne abbiamo fin troppa.


Ultimo aggiornamento: Lunedì 26 Luglio 2021, 20:07
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