Zerocalcare: «Sono un solitario, ma faccio politica con i miei fumetti. La crisi? L'armadillo mi direbbe di tacere»

Zerocalcare: «Sono un solitario, ma faccio politica con i miei fumetti. La crisi? L'armadillo mi direbbe di tacere»

di Valentina Catini

Chi lo conosce lo sa: la sua timidezza è inversamente proporzionale alla grande capacità comunicativa che hanno le sue graphic novel. Non ha bisogno di presentazioni Michele Rech, in arte Zerocalcare, tra i più interessanti artisti contemporanei (ma non chiamatelo intellettuale). Come è interessante la sua storia, ciò che racconta e come lo racconta attraverso i suoi lavori, mai scontati, quasi geniali, una combinazione di risate e riflessioni magistralmente espresse attraverso i suoi disegni.

Scheletri, edito dalla Bao Publishing, ha debuttato al primo posto nella classifica dei libri più venduti in Italia nella settimana di uscita (15 ottobre 2020). A Natale ci ha fatto riflettere con il suo ultimo lavoro A Babbo morto (terzo posto nella classifica dei libri più venduti in Italia nella settimana di uscita) e presto vedremo la sua prima serie animata - e segretissima - su Netflix.


Il suo ultimo lavoro “A Babbo morto”, edito dalla Bao Publishing, ha avuto un grande successo. Una storia di Natale che tratta temi complessi. Perché questa scelta?
«In realtà non c’è mai stata la voglia di fare una vera e propria storia di Natale. A Babbo morto è nata un anno fa: mi divertiva l’idea di fare disegni che richiamassero il Natale. Poi, la Bao Publishing, mi chiese di lavorarci seriamente e mi venne l’idea di fare un lavoro che dal punto di vista grafico fosse “natalizio” ma non propriamente nei temi. In questo racconto tratto temi importanti, difficili, l’idea era di usare il fumetto per trattare contenuti di rilevanza, come se fosse un libro fotografico che si sfoglia, che renda l’idea su quella parte di storia. È interessante trattare temi complessi attraverso i fumetti».


E poi, è diventato un audiolibro, il suo primo, per la precisione. Con le voci di Neri Marcorè e Caterina Guzzanti. Com’è stato lavorare con loro a questo progetto?
«Ecco, diciamo che visto il periodo “complicato” non abbiamo potuto lavorare insieme, ognuno ha fatto il suo pezzetto. Sono un loro fan da sempre e sono stati bravissimi, io un po’ meno: il vero imbarazzo è stata la mia voce!».


Lei dice di non essere un intellettuale, ma nei fatti, è considerato uno degli artisti più impegnati. Come dobbiamo definirla?
«Fumettista va benissimo. La definizione di intellettuale contiene una serie di concetti in cui non mi riconosco, che non sento, non mi appartengono. Mi piace ascoltarli, gli intellettuali, ma non mi ritengo tale. Poi c’è da specificare che sono uno che ha una bibliografia politica, sono cresciuto nei centri sociali quindi nel momento in cui ho iniziato a fare fumetti ci ho messo dentro quello che vivevo. Sono un militante politico, nel senso che utilizzo i fumetti per divertirmi ma amo metterci dentro la componente politica che nella mia vita è molto forte. È forte nella mia vita ed è forte nelle storie che racconto».


Qualche tempo fa, ha fatto una tavola per Scoop!, speciale della rivista Internazionale, dedicata alla situazione del carcere di Rebibbia in questo drammatico periodo. Cosa pensa stia succedendo realmente? 
«Io so quello che mi viene raccontato dai famigliari. Come c’è stata una situazione di emergenza sanitaria, il carcere ha chiuso completamente i contatti con l’esterno, si è creata una chiusura molto forte, con colloqui a distanza, limitazioni. Credo che ne abbiano approfittato per rendere ancora più rigido il carcere e questo va in netto contrasto con la linea avviata negli anni 70. Mi pare che sia venuta fuori una linea molto più punitiva».


Tutti noi abbiamo seguito attentamente “Rebibbia Quarantine”, dove ha colto perfettamente le emozioni degli italiani durante il lockdown. E ora cosa sta succedendo?
«Uno dei motivi per cui non sto più facendo i video è che non riesco più a interpretare questo paese.

Siamo nella fase in cui ognuno dà la sua soluzione al problema: bisogna chiudere, non bisogna chiudere, bisogna aprire a metà… siamo nella fase in cui ognuno è più bravo degli altri. Io non vedo un sentimento comune. In questi giorni sento però un sentimento di stanchezza, anche di assuefazione, di rassegnazione quasi. Ormai stiamo interiorizzando, sta avvenendo un cambiamento antropologico vero e proprio».


Rebibbia è anche il suo quartiere, presente in quasi tutti i suoi libri.
«Non andrò mai a vivere da un’altra parte, questo è sicuro. Per me“oggettivamente” è il quartiere più bello di Roma, ci abito da tutta la vita, mi sento a casa, rassicurato. Rebibbia è un quartiere che ha risposto molto bene a tante cose: alla pandemia, ad esempio, in tema di solidarietà... è un quartiere che si è preso da solo i luoghi che non le sono stati dati. È un quartiere dove c’è ancora una resistenza sociale». 


Oggi le graphic novel hanno un ruolo sociale ma anche didattico, sono usate per raccontare momenti di storia, avvicinano i giovani a temi importanti. Cosa ne pensa?
«Penso che possono essere strumenti eccellenti ma allo stesso tempo bisogna prestare attenzione al linguaggio comunicativo. La gente pensa che il fumetto sia semplice da leggere ma non è proprio così. La mia generazione è cresciuta con i fumetti, ma i giovani di oggi hanno i genitori che gli mettono davanti il tablet, gli iPad e quindi fanno fatica a capirli. Stessa cosa per gli over 60. Non è un linguaggio semplice e non bisogna dare per scontato che lo sia».


Cosa mi dice dei writers?
«Io rifiuto fortemente il confine tra murales come reato e murales come opera d’arte. Non esisterebbe street art se non ci fosse stato il writer che metteva la sua firma. È una cultura complessa, bisognerebbe prendere il pacchetto completo e non mi piace dividere tra buoni e cattivi. Ad ogni modo, sono contento che esistano i writers».


Michele Rech è proprio come si racconta nelle sue storie?
«Abbastanza. Diciamo che sono un discreto sociopatico! Spesso sento il bisogno di starmene da solo, di isolarmi, di ricaricare le batterie. Sono uno che non ama viaggiare, conoscere persone nuove».


È un ragazzo sensibile.
«Dice? Non saprei.»


Cosa direbbe l’armadillo in merito alla crisi di governo?
«Il mio amico armadillo direbbe “fatti gli affari tuoi!”, “non rispondere a questa domanda!’’. A parte scherzi, penso che per capire alcune situazioni, occorrerebbe analizzare quali siano gli interessi che ci sono dietro, quelli che muovono certe decisioni… io onestamente non l’ho ancora capito».


Qualche dettaglio in più sul progetto Netflix? Non vogliamo che finisca a Guantánamo (come ha ironizzato in un suo post, ndr), ma ci piacerebbe sapere qualcosa in più.
«Per aver fatto quel post su Facebook sono stato sgridato! Posso dire che sto lavorando molto a questa serie animata: l’armadillo avrà la voce di Mastandrea. È un lavoro collettivo per cui non potrò prendermi tutto il merito. Allo stesso tempo, c’è talmente tanto di me che se andrà male sarà per buona parte colpa mia!»


Come pensa che andrà?
«Sa che non lo so? Quando faccio un fumetto, capisco facilmente quale sarà il risultato. In questo caso, non saprei… quando vedo le scene, rimango stupito ma non so dire come andrà».


Ultimo aggiornamento: Martedì 20 Aprile 2021, 19:55
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