Paolo Sorrentino Gran Premio della Giuria a Venezia: «Maradona e la mia Napoli incantano gli Usa»

Sorrentino e Napoli: Incanto gli Usa con Diego

di Titta Fiore

Paolo Sorrentino ha vinto il Gran Premio della Giuria e il Napoli ha battuto la Juve. Un sabato pazzesco. «La prima cosa che ho fatto, dopo i premi, è stato vedere i gol». Appunto. «È stata la mano di Dio», il magnifico film che il regista napoletano ha portato alla Mostra come un regalo, parla di gioventù, dell’amore per il cinema e per Maradona che gli ha salvato la vita.Tutto si tiene, in una serata veneziana dolce non solo per il clima di tarda estate. In una camera dell’Excelsior, dove al piano di sopra lo aspettano per brindare, Sorrentino parla accarezzando il Leone d’argento, come a Los Angeles, nel 2014, accarezzava l’Oscar appena vinto con «La grande bellezza». Allora ringraziò le sue personali fonti d’ispirazione - Fellini, Scorsese, i Talking Heads e Maradona - a ciglio asciutto. Sul palco del Lido, invece, non ha saputo nascondere le lacrime. 

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È stata una sorpresa vederla tanto commosso.
«Ero e sono ancora molto emozionato. Non so dire perché, ma da quando ho saputo che sarei tornato al Lido, mi sono sentito dentro una grande agitazione». 

All’Oscar, davanti al gotha del cinema, non andò allo stesso modo?
«È diverso, alla serata finale dell’Academy si arriva dopo una lunga campagna promozionale, io per sette mesi ho fatto la spola tra l’Italia e l’America, ero teso, preoccupato. È stato bellissimo, ma non vedevo l’ora che finisse. A Venezia tutto è più improvviso, veloce». 

Si aspettava di vincere?
«Non mi aspettavo niente. Mi è capitato di far parte di qualche giuria e so che è uno dei lavori più stravaganti del mondo del cinema, può venire fuori di tutto».

Il film, però, è piaciuto subito senza riserve, l’accoglienza è stata trionfale.
«Sì, ma essere accolti bene dalla stampa specializzata non è necessariamente un valido indicatore. Venerdì scorso mi hanno telefonato dal Lido per dirmi di tornare. Non rivelano mai per quale premio sei convocato e in fondo non conta. L’importante è che ti chiamino. So come ci si sente se la telefonata non arriva».

Intanto ha già cominciato il tour dei festival internazionali. Subito dopo la prima veneziana è partito per Telluride, dove si tiene una delle più importanti rassegne americane e dove ha conquistato la critica, che ha candidato a furor di popolo il film alla Notte delle stelle. È pronto a fare di nuovo il pendolare tra Roma e Hollywood?
«È prematuro pensarci, bisogna fare un passo alla volta. Ora siamo molto contenti del Leone d’argento e da domani cominceremo le riunioni con la squadra che ha lavorato al film per decidere i prossimi passi».

Nel frattempo?
«Torno a Roma e mi riposo un po’.

La trasferta lampo in Colorado per il festval di Telluride è stata impegnativa, ora ci aspetta San Sebastian».

Sul palco del Palazzo del cinema le si è incrinata la voce ricordando gli amici di una vita, e soprattutto Nicola Giuliano, il suo storico produttore.
«Nicola mi ha accolto da ragazzo, siamo stati e siamo molto legati, insieme abbiamo vissuto tante esperienze, l’affetto è profondo».

Però «È stata la mano di Dio», prodotto da The Apartment del gruppo Fremantle, lo ha fatto con Netflix e con partner nuovi.
«Avevo voglia di cambiare, volevo sottrarmi ai rischi della routine che esiste anche nel nostro lavoro. Capita. Ho deciso di misurarmi con collaboratori diversi. Quando si lavora insieme per molto tempo con le stesse persone il bisogno di novità si affievolisce. Cercavo la novità. E avevo un antico desiderio di lavorare con Daria D’Antonio e di sperimentare i metodi che usa per illuminare le scene».

Chi sono «gli antipatici», di cui ha parlato nei ringraziamenti, che la rimproverano per il fatto di lavorare sempre con Toni Servillo?
«Vivo a Roma, una città dove la gente si annoia subitissimo... Dico solo questo. Il Leone d’oro è la conferma di una cosa che già sapevo: lavorare con Toni ci ha portato a risultati che né io né lui ritenevamo possibili».

Lo ha visto in «Qui rido io» di Mario Martone?
«Sì, è un film molto bello e Toni nei panni di Scarpetta è bravissimo, come sempre».

Avete un nuovo progetto insieme?
«Per ora godiamoci questo Leone».

E tornerà a lavorare con Filippo Scotti, il suo giovane alter ego nel film?
«Ci proverò, ma dopo i premi vinti probabilmente mi dirà che ha altro da fare».

Per la seconda volta in carriera ha dedicato un premio a Maradona: c’è ancora qualcosa di non detto della sua ammirazione per lui?
«Il film si basa su due pilastri, i miei genitori e Maradona, anche se la presenza di Diego è più evocata che reale. Molto semplice».

«È stata la mano di Dio» è una storia fortemente identitaria che in America ha appena avuto un grande successo. Che cosa arriva al pubblico internazionale?
«È un’esperienza umana che parla di famiglia, allegria, amore, gioia, lutto, dolore... Colpisce chi ha avuto una vicenda analoga e chi può solo immaginarla. Tratta con semplicità e sincerità temi universali».

Il film uscirà il 24 novembre in sala e dal 15 dicembre sarà su Netflix in 190 paesi. Un’opportunità enorme, ma che ne dicono gli esercenti?
«Ho una conoscenza limitata della politica industriale del cinema, perciò non entro in argomento. Ma sono rimasto colpito dal lancio del film di Cuaròn, “Roma”, e penso che tre settimane in sala sia un’uscita ragguardevole».

Questi film segna davvero una svolta nel suo lavoro?
«Sì, probabilmente ho scoperto una certa semplicità, che alcuni chiamano maturità e forse è solo pre-senilità. Scherzo, ma una cosa l’ho capita: il cinema è il mio posto nel mondo, l’unico in cui mi sento a mio agio». 


Ultimo aggiornamento: Lunedì 13 Settembre 2021, 18:43
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