Richard Gere: "Migranti, un problema
globale. Tutti i paesi sono responsabili"

Richard Gere: "Migranti, un problema globale. Tutti i paesi sono responsabili"

di Ilaria Ravarino
TAORMINA - «Mi sento un uomo di 26 anni ma poi, quando mi guardo allo specchio, vedo che non è così». Peccato che ad applaudire Richard Gere, ieri al Festival di Taormina per ricevere il Taormina Arte Award, ci fosse un pubblico (in delirio) composto per la maggior parte da ventenni. «Cerco di diventare migliore di giorno in giorno, di stare vicino alla parte più profonda di me stesso. Mi curo poco del giudizio degli altri. Preferisco pensare alla felicità altrui e prendermi cura di chi soffre».







Attivo sul set «come mai mi è capitato in carriera, quattro film uno dopo l'altro non li avevo mai girati», Gere prende i suoi 66 anni con filosofia e sereno distacco buddista. «La cosa più dolce che mi è stata detta? Che sono amato dalle nonne, dalle mamme e dalle figlie», ha detto ieri durante la confrenza a chi gli chiedeva come si sentisse a essere un sex symbol ben oltre la primavera della sua vita. La spiritualità, da tempo, ha preso il posto dell'attaccamento alla fama, o alla popolarità effimera: «I migliori momenti della mia vita sono stati quelli che ho trascorso parlando col Dalai Lama. Reincarnarmi in lui dopo la morte? Sarebbe una cosa incredibilmente bella, ma impossibile».



E il tema della morte ritorna, sottile, anche nei colloqui che Gere riserva alla stampa: «Di certo, sul letto di morte, non penserò ai miei film. Le cose più importanti sono le relazioni, quella piccola grande cosa che vive dentro di me».



Essere una star, per lui che conta una sessantina di film in carriera tra cui grandi successi come Ufficiale e gentiluomo e American Gigolò, non conta più nulla: «Quando giravo Time out of Mind, uno dei miei ultimi film, ero travestito da homeless. Mi ero tagliato i capelli col coltellino, ero vestito di stracci. Giravo in pieno centro a New York e nessuno mi si avvicinava, nessuno mi chiedeva un autografo. Eppure ero sempre io, ma ero invisibile. È la parte di cui vado più fiero».



Ma se il cinema è finzione, e non lo tocca quasi più, la realtà è ancora in grado di commuoverlo. E persino di farlo arrabbiare: «L'Isis è un vero orrore: quello che è successo in Bosnia era nulla in confronto a quel che sta accadendo oggi». E sull'immigrazione ha le idee chiare: «È compito di tutti offrire una casa e sicurezza alle persone che scappano dalle guerre. L'Italia fa tanto, l'Europa si sta sensibilizzando, l'America dovrebbe farlo di più. Dovremmo globalizzare anche le responsabilità».
Ultimo aggiornamento: Giovedì 18 Giugno 2015, 09:01
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