Riccardo Scamarcio ribelle sul set: «"L'ultimo paradiso" è un film sulla mia terra. Perché il cinema è la vita vera»

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di Michela Greco

«Voglio solo fare film, per me resta la cosa più bella. E spero anche che mia figlia, quando crescerà, capirà che il cinema è meglio della vita». Diventato papà da poco, Riccardo Scamarcio non rallenta i suoi ritmi lavorativi, “anzi, sto accelerando”, dice mentre presenta L’ultimo paradiso, il film di Rocco Ricciardulli in arrivo venerdì su Netflix di cui è non solo protagonista, ma anche sceneggiatore e produttore. Seppur preso dai nuovi impegni familiari, Scamarcio si è infatti buttato a capofitto su questa storia ambientata negli anni ‘50 tra i contadini del sud Italia.

«Una storia in cui ho ritrovato – ha spiegato – due temi che mi interessano molto: quello dello sfruttamento, della lotta di classe, e la dinamica di chi vuole emanciparsi fuggendo dal luogo in cui è nato accanto a quella di chi è partito e ha nostalgia delle radici». 


Al centro del racconto c’è il suo personaggio, Ciccio, un contadino quarantenne sposato con Lucia (Valentina Cervi) ma pericolosamente innamorato di Bianca (Gaia Bermani Amaral), figlia di Cumpa’ Schettino (Antonio Gerardi), proprietario terriero dallo sguardo luciferino che sfrutta i più deboli. Tutti ma non Ciccio, l’unico che ha il coraggio di alzare la testa. «Le dinamiche non sono poi così cambiate – sottolinea il regista, che si è ispirato a un fatto realmente accaduto – Assistevo allo sfruttamento nelle campagne del sud quando ero bambino e vedo lo stesso sfruttamento anche oggi.

Sono cambiate solo le vittime: oggi sono gli extracomunitari. Il caporalato c’è ancora e ancora mancano le risposte». 


In una Murgia dai paesaggi bruciati, in cui la vitalità contadina convive con la violenza del patriarcato, L’ultimo paradiso è un racconto di amore e ribellione, di identità e radici. «C’è una scena girata in un posto in cui andavo da bambino in cerca di funghi con papà, ma questo non è un ritorno alla mia terra – assicura Scamarcio, originario di quelle zone – perché non me ne sono mai andato: ho sempre mantenuto un legame molto forte con i miei luoghi».

Ora quegli stessi luoghi li porta alla platea mondiale dello streaming: 
«Il cinema – afferma – non è il luogo in cui viene visto, ma un modo di raccontare: tanti film usciti in sala sarebbero stati meglio in tv e viceversa. Credo che il cinema non morirà mai perché è una corsia preferenziale per il nostro inconscio. Tutti vogliamo che le sale riaprano e quando succederà ci sarà un grandissimo ritorno del pubblico».


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Ultimo aggiornamento: Mercoledì 3 Febbraio 2021, 11:20
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