«Questo Dante è un film risarcitorio». Lo afferma con convinzione e orgoglio Pupi Avati mentre presenta ai cronisti la sua opera sul Sommo Poeta, covata per vent’anni e in arrivo finalmente in sala il 29 settembre. Con il conforto di una lunga schiera di consulenti (nei crediti appare anche l’Accademia della Crusca), Avati mostra un Dante giovane (Alessandro Sperduti), evocato da Boccaccio (Sergio Castellitto) che, nel settembre del 1350, a quasi 30 anni dalla morte del poeta, viene incaricato di portare dieci fiorini d’oro a sua figlia Beatrice, monaca a Ravenna, come risarcimento simbolico per gli ultimi, terribili, anni vissuti dal padre come esiliato. Un viaggio che diventa un pellegrinaggio alla scoperta dell’uomo, più che del poeta, compiuto ripercorrendo gli incontri con chi lo accolse e chi lo respinse.
«Ho un rapporto speciale e antico con questo film – esordisce Avati – Nel settecentenario dello scorso anno Dante è stato celebrato in modo militante e poco umano, poco caloroso. Studiandolo a scuola spesso lo abbiamo odiato. Se per noi era distante, dopo le celebrazioni lo è diventato ancora di più, e io ho sempre pensato che occorresse avvicinarlo». Ecco quindi che il Sommo Poeta viene raccontato nei suoi dolori e nei suoi sentimenti, nel percorso lungo il quale ha incontrato la celestiale Beatrice (Carlotta Gamba) e poi l’ha vista morire – bellissima l’immagine di lui, avvolto in una tunica nera, accasciato ai piedi della tomba di lei.
Ultimo aggiornamento: Giovedì 22 Settembre 2022, 06:45
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