Avati: «Ecco il mio Dante. A scuola lo fanno odiare, io ho voluto renderlo umano»

Avati: «Ecco il mio Dante. A scuola lo fanno odiare, io ho voluto renderlo umano»

di Michela Greco

«Questo Dante è un film risarcitorio». Lo afferma con convinzione e orgoglio Pupi Avati mentre presenta ai cronisti la sua opera sul Sommo Poeta, covata per vent’anni e in arrivo finalmente in sala il 29 settembre. Con il conforto di una lunga schiera di consulenti (nei crediti appare anche l’Accademia della Crusca), Avati mostra un Dante giovane (Alessandro Sperduti), evocato da Boccaccio (Sergio Castellitto) che, nel settembre del 1350, a quasi 30 anni dalla morte del poeta, viene incaricato di portare dieci fiorini d’oro a sua figlia Beatrice, monaca a Ravenna, come risarcimento simbolico per gli ultimi, terribili, anni vissuti dal padre come esiliato. Un viaggio che diventa un pellegrinaggio alla scoperta dell’uomo, più che del poeta, compiuto ripercorrendo gli incontri con chi lo accolse e chi lo respinse.
«Ho un rapporto speciale e antico con questo film – esordisce Avati – Nel settecentenario dello scorso anno Dante è stato celebrato in modo militante e poco umano, poco caloroso. Studiandolo a scuola spesso lo abbiamo odiato. Se per noi era distante, dopo le celebrazioni lo è diventato ancora di più, e io ho sempre pensato che occorresse avvicinarlo». Ecco quindi che il Sommo Poeta viene raccontato nei suoi dolori e nei suoi sentimenti, nel percorso lungo il quale ha incontrato la celestiale Beatrice (Carlotta Gamba) e poi l’ha vista morire – bellissima l’immagine di lui, avvolto in una tunica nera, accasciato ai piedi della tomba di lei.

Un percorso in cui è andato poi a sposarsi quasi come al patibolo, in cui si è commosso per la storia di Paolo e Francesca e in cui ha vissuto la sua travagliata amicizia con Guido Cavalcanti. Il tutto visto, appunto, attraverso gli occhi di Boccaccio, il suo “biografo” incarnato da Castellitto: «Un aspetto molto interessante di questo racconto – ha detto l’attore – era per me legato al corpo, all’odore. Nel film si sente quasi il tanfo del viaggio faticosissimo di Boccaccio, segnato dalla scabbia e dalla fame. E in questo film vediamo Dante come l’uomo cacciato, l’uomo povero, il soldato: vediamo la sua sofferenza e fragilità, e questo ce lo avvicina». Ispirato proprio dalla scoperta della missione risarcitoria di Boccaccio e poi dalla lettura de “La Vita Nova”, Pupi Avati ha girato Dante quasi tutto dal vero in borghi medievali, in luoghi suggestivi dalle pareti affrescate, perché «anche i muri, in questa storia, parlano».


Ultimo aggiornamento: Giovedì 22 Settembre 2022, 06:45
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