Pietro Castellitto, attore e regista: «La mia unica paura? Avere rimpianti»

Pietro Castellitto, attore e regista: «La mia unica paura? Avere rimpianti»

di Michela Greco

Tra la fine del 2020 e la fine del 2021, intorno alla soglia dei suoi trent’anni, Pietro Castellitto ha presentato il suo graffiante esordio alla regia "I predatori", è stato Francesco Totti in tv, ha avuto i superpoteri in "Freaks Out" e ha pubblicato il suo primo romanzo, "Gli iperborei". Rivelazione di un talento e di una personalità fuori dagli schemi. Un artista – figlio d’arte - che ha acceso le polemiche per la famosa intervista in cui diceva che chi, come lui, è cresciuto a Roma Nord «ha fatto il Vietnam». Uno spettatore che, con suo padre Sergio, poche sere fa era tra il pubblico della serata teatrale di Orsini sull’Ucraina. Un attore che l’anno scorso aveva divertito molto nel surreale scambio con Valerio Lundini nel programma Una pezza di Lundini. Più che un’intervista, uno spiazzamento continuo e irresistibile, un gioco molto ironico che promette di essere replicato stasera a piazza San Cosimato, dove si apre la stagione delle arene organizzate dal Piccolo America (fino al 31 luglio anche a Cervelletta e Monte Ciocci) con la proiezione de I predatori presentata proprio da Valerio Lundini e da Pietro Castellitto.

Vi hanno presentato come «due tra i talenti più sulfurei e irriverenti del cinema italiano», si riconosce in questa definizione?

«Soprattutto in sulfureo, molto! (ride). In realtà ho solo avuto la fortuna di riuscire a fare il mestiere che volevo come volevo. Ciò che scrivo è totalmente legato a ciò che penso, mentre spesso soprattutto i giovani si trovano a lavorare in condizioni in cui le loro idee originali si diluiscono molto. Le energie sono limitate e bisogna usarle per controllare quello che si può, soprattutto la qualità delle metafore con cui esprimi le tue idee. E se il talento e la qualità ci sono, si può dire tutto. Per questo trovo che Valerio Lundini sia bravissimo».

Diceva che la regia de "I predatori" era nato dal fallimento come attore, poi invece…

«In questo momento il lavoro dell’attore l’ho messo di nuovo un po’ da parte.

Mi sono preso del tempo per scrivere il mio secondo film da regista. Quello dell’attore è un mestiere che mi aiuta a riposare la mente, è meno faticoso della scrittura e della regia. D’altra parte, scrivere dà un senso alla mia vita di attore».

Ma presto la vedremo in "Rapiniamo il Duce", come attore, accanto a Matilda De Angelis.

«Sono curioso anch’io di vedere il film finito, l’ho girato tempo fa e ho un ricordo molto bello del set con il regista Renato De Maria, che è anche un amico di famiglia. Papà fu protagonista del suo film d’esordio, "Hotel paura"».

Ha recitato di nuovo in una storia ambientata nella Seconda Guerra Mondiale…

«In ogni film che faccio ci deve essere in mezzo un po’ di fascismo». (ride)

Cosa dobbiamo aspettarci dal nuovo film da regista?

«Lo vivo come un’evoluzione naturale di ciò che ho fatto in questi anni. È come se "I predatori" e "Gli Iperborei" fossero stati una fase preparatoria per questo film».

C’è un po’ di ansia per questa seconda prova?

«Io non ho mai paura, anzi, ho paura solo dei rimpianti. Finché faccio le cose sono sereno».

L’anno scorso l’abbiamo vista moltissimo in un breve periodo di tempo, recentemente molto meno. Si sente più a suo agio nei periodi di visibilità o in quelli in cui compare meno?

«Il lavoro ricalca la sinusoide della vita, ci sono momenti in cui sei sotto i riflettori e altri in cui non lo sei, se non fosse così non avresti tempo per scrivere e pensare. Quello che so è che l’unica cosa che mi rende veramente è felice è quando penso di avere avuto una buona idea, mi prende una specie di euforia, sto bene».


Ultimo aggiornamento: Venerdì 3 Giugno 2022, 07:27
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