Martin Scorsese: «Con i film italiani mi sentivo in famiglia»

Martin Scorsese: «Con i film italiani mi sentivo in famiglia»

di Michela Greco
ROMA - Martin Scorsese si presenta in smoking all'appuntamento con il pubblico romano e viene accolto da una calda standing ovation. Poi si accomoda e si gode le nove sequenze di altrettanti film italiani che ha scelto di commentare in questo Incontro ravvicinato che è tutto, solo cinefilo. Sono Accattone di Pasolini, La presa del potere da parte di Luigi XIV di Rossellini, Umberto D. di De Sica, Il posto di Olmi, L'eclisse di Antonioni, Divorzio all'italiana di Germi, Salvatore Giuliano di Rosi, Il gattopardo di Visconti e, infine, Le notti di Cabiria di Fellini. Li rivede e ride, applaude (ad esempio quando appare sullo schermo Monica Vitti), si compiace, si diverte, ogni tanto sbircia i suoi appunti.

In sala ad ascoltarlo, tra i tanti, anche Giuseppe Tornatore, Dante Ferretti, Francesca Lo Schiavo e Nicola Piovani. Il grande regista di Taxi Driver spiega che questi film, datati tra gli anni 50 e 60, «sono quelli che più hanno influenzato la mia formazione. Avrei potuto scegliere anche Prima della rivoluzione o I pugni in tasca, ma a quell'epoca avevo già iniziato a fare film». Di Accattone dice, ad esempio, che «è stato il primo film di cui erano protagonisti personaggi con cui sono riuscito a identificarmi, visto che sono cresciuto in un quartiere difficile di New York». «Quando avevo 5 anni - racconta poi Scorsese, che domani alle 16 presenterà San Michele aveva un gallo dei fratelli Taviani - avevamo una piccola tv con cui vedevamo i film del Neorealismo. Per me non erano film, ma il mondo reale. Erano parte della mia vita. Avevano una connessione con la mia famiglia e i miei nonni. Era vita vera».



Nel suo excursus lungo quasi due ore, il cineasta italoamericano non ha risparmiato ricordi legati a Rossellini, o anche a Federico Fellini: «L'ho incontrato più volte negli anni 70 e all'inizio dei 90 eravamo sul punto di realizzare una produzione insieme, un documentario per la Universal, poi però è morto. Aveva scritto una serie di sceneggiature su produzione, direttori della fotografia, attori. Ricordo che diceva che l'importante, quando si fanno i sopralluoghi per un film, è fermarsi in una location che non si userà, ma in cui c'è un ottimo ristorante».
Sul finale, poi, Scorsese si commuove nel ricevere il premio alla carriera dalle mani di Paolo Taviani, che gli dice: «Per me è una gioia dare questo premio a Martin, amico mio e di Vittorio. Lui appartiene alla categoria poco frequentata degli autori che, con le loro opere, ci aiutano a capire chi siamo. È un lavoratore instancabile, ha un furibonda energia che applica a una tastiera multiforme, può essere un demonio alla Dostoevskij, un regista innamorato dell'amore o un santo, seppure pieno di problemi. E ha una gran fortuna: una fiducia illimitata in se stesso. A nome del cinema italiano, grazie».
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Ultimo aggiornamento: Martedì 23 Ottobre 2018, 09:18
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