Italia a Cannes con Bellocchio: «Il mio Traditore, film di denuncia senza retorica»

Italia a Cannes con Bellocchio: «Il mio Traditore, film di denuncia senza retorica»

di Michela Greco
ROMA - Qualche settimana aveva fatto scalpore la prima immagine di Hammamet, con Pierfrancesco Favino letteralmente trasfigurato per diventare Bettino Craxi nel film di Gianni Amelio. Tra qualche settimana, invece, vedremo lo stesso attore nei panni di Tommaso Buscetta, il primo grande pentito di mafia al centro de Il traditore di Marco Bellocchio, unico film italiano in gara per la Palma d'Oro al Festival di Cannes. Al cinema dal 23 maggio, data dell'anniversario della strage di Capaci, il film inizia con l'arresto in Brasile del “boss dei due mondi” e si conclude con la sua morte, raccontando violenze, drammi e vendette dell'uomo che sconvolse gli equilibri dei rapporti tra Stato e mafia. Dopo essersi “accontentato” della Quinzaine des Réalisateurs con Fai bei sogni nel 2016, Bellocchio torna ora in serie A sulla Croisette.




Bellocchio, è tornato in concorso.
A Cannes si è sempre in compagnia di grandi maestri, poi spesso vincono piccoli film, è giusto così. L'esperienza conta ma non per avere un distacco totale: sono contento di partecipare e vado avanti.




Cosa dobbiamo aspettarci da Il traditore?
È un film ancora diverso da tutti i miei precedenti, forse somiglia un po' a Buongiorno, notte perché i personaggi si chiamano coi loro veri nomi, ma lo sguardo è più esposto. È un'opera per me davvero misteriosa: è apparentemente personalissima ma anche molto oggettiva, su una materia che ho imparato a conoscere facendo un'indagine. Ed è un film civile, o di denuncia sociale, come si diceva una volta, evitando però ogni retorica o ideologia.




Chi è il suo Buscetta?

Un personaggio estremamente complesso, non c'è né altarino, né condanna. La sfida è proprio questa. Recentemente ho letto Giuda di Oz, che affronta quel personaggio secondo una duplicità, o triplicità, difendendone il tradimento.




Il film è parlato in siciliano, naturalmente.
Lo considero un elemento importantissimo. È una lingua meravigliosa spesso storpiata, ridicolizzata, caricaturizzata anche dal nostro cinema.

CANNES: DAGLI ZOMBIE DI JARMUSCH A KEN LOACH

Dovrà vedersela con grandi maestri come i fratelli Dardenne, Ken Loach, Terrence Malick e Pedro Almodovar il nostro portabandiera Marco Bellocchio, in concorso al festival di Cannes con Il traditore, mentre sulla presenza dell'attesissimo C'era una volta a Hollywood di Quentin Tarantino, non annunciato ieri, sembra non sia ancora detta l'ultima parola. C'è chi si lamenta che sulla Croisette passano sempre i “soliti abbonati”, salvo poi restare deluso se trova in selezione cineasti meno conosciuti. Fatto sta che a Cannes 72 (14-25 maggio) c'è una sola opera prima (Les Misérables di Ladj Ly) e, tra gli altri, il giovane Xavier Dolan, Jim Jarmusch col film di zombie (in apertura) The Dead don't die, il palestinese Elia Suleiman, il francese Arnaud Desplechin, il coreano Bong Joon Ho, il brasiliano Kleber Mendonça Filho: non certo sconosciuti, ma nemmeno affiliati al “club” della Croisette. In competizione anche quattro donne - Mati Diop, Jessica Hausner, Justine Triet e Céline Sciamma - presenza abbondantemente sottolineata dal delegato generale Frémaux dopo le polemiche degli anni scorsi. I veri protagonisti della Montée des Marches saranno però, sicuramente, Maradona, che accompagnerà il documentario sui suoi anni napoletani firmato da Asif Kapadia (Amy) ed Elton John per Rocketman, fuori concorso. Sul tema sempre caldo della “minaccia piattaforme”, infine, Frémaux non può sottrarsi: “Non abbiamo avuto conflitti con Netflix, c'è anzi dialogo. Resta la regola che per stare in concorso i film devono essere usciti in sala in Francia, e su questo abbiamo avuto gli incoraggiamenti di Spielberg e Godard”.
Ultimo aggiornamento: Venerdì 19 Aprile 2019, 08:58
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