Il titolo a cosa si riferisce?
«Il libro è un alternarsi di racconti molto diversi tra loro, con un andamento quasi musicale. Uno di questi, Brividi Immorali, tocca un problema comune a tutti i racconti: il conflitto tra l'aspirazione alla felicità e l'etica».
Ricordi personali o fantasia?
«Non credo alla fantasia, perché c'è una forma di arbitrio. Quando si scrive, si cerca di raccontare qualcosa che nasce nella testa. Assomiglia ad una visione che bisogna descrivere con onestà».
Quando va in giro per Roma, cosa le piace osservare?
«Mi è sempre piaciuto guardare gli altri. Da bambina, la sera, mi mettevo dietro alle finestre ad osservare e mi addormentavo fissando le luci delle stanze dei dirimpettai».
Le sue passioni erano altre. Perché il cinema?
«Nella danza ero piena di paure, il cinema è capitato, l'ho affrontato da ignorante perché non gli attribuivo importanza. Inizialmente nemmeno m'interessava, come succede a volte in amore. Poi ho lavorato da subito con registi bravi ed è stato quasi fatale per me».
A Hollywood ci ha mai pensato?
«No, perché non ero sufficientemente motivata per andare a cercare fortuna negli Stati Uniti, forse sono stata stupida. Magari se fosse capitato».
A proposito di paure. Il cognome che porta è stato un peso?
«Chiaramente. Lo dice il fatto che io abbia esordito quasi fuori tempo massimo, altrimenti lo avrei fatto molto prima, c'è stata sicuramente un'enorme difficoltà».
Se può confessarlo, qual è l'ultimo pensiero prima di addormentarsi?
«Di solito dormo molto male.
Ho sempre avuto un sonno difficile sin da bambina, quindi per me dormire è una delle gioie della mia vita e quando ci riesco sono felice».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 4 Maggio 2018, 12:07
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