Il regista Antonin Baudry: «Il mio Wolf Call, come una tragedia greca»
di Michela Greco
Baudry, ha girato un film piuttosto atipico, quasi indefinibile. Quale è stata la spinta?
«Il mio vero obiettivo era realizzare uno spettacolo che avrei voluto vedere da spettatore. Da adolescente, con mio padre, vedevo molti film d’avventura e d’azione di ogni paese: asiatici, italiani, americani. Ho fatto un film che avrei voluto vedere con lui».
In Wolf Call si respira un senso di minaccia costante e invisibile: è quello che viviamo tutti in quest’epoca.
«Il film è una tragedia greca ambientata nel mondo attuale con un’unità d’azione, di tempo e di luogo, che rappresenta il grande problema di oggi: la capacità dell’uomo di autodistruggersi. La minaccia, che sia data dalle armi nucleari, dal clima o da altri pericoli, condiziona le nostre vite. Trovavo interessante capire in che modo noi esseri umani reagiamo a tutto questo, perché normalmente obbediamo al sistema di cui facciamo parte, ma abbiamo anche una coscienza che a volte va in conflitto col sistema. La domanda che mi faccio è: cosa può salvarci da queste minacce? Le alleanze tra i paesi o qualcosa di più intimo, come l’amicizia?».
Il film è interpretato da attori francesi molto diversi tra loro come Mathieu Kassovitz, Reda Kateb e Omar Sy…
«Ho passato un lungo periodo nei sottomarini nucleari per documentarmi e vi ho trovato un microcosmo che riproduce la società francese, perciò ho voluto rappresentare tipi di uomini molto diversi per origini, corporatura, comportamenti e ruoli. Ciò che mi ha colpito è che le cose che separano gli uomini in superficie, come le origini sociali, la religione e le convinzioni politiche, nei sottomarini non esistono. Lì contano solo la competenza, la solidarietà e il coraggio. È uno dei rari luoghi in cui non contano nemmeno i rapporti economici».
Ultimo aggiornamento: Giovedì 27 Giugno 2019, 09:59
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