Gabriele Muccino, il progetto: «Farò un film sull'Italia al tempo del virus, mandatemi le vostre storie

Gabriele Muccino, il progetto: «Farò un film sull'Italia al tempo del virus, mandatemi le vostre storie

di Claudio Fabretti
«Voglio fare un film su questo momento storico. Un racconto corale, con tanti personaggi, basato sulle storie che riceverò: Il grande caos». Gabriele Muccino ha lanciato l'iniziativa sui suoi canali social e i riscontri, all'indirizzo gmuccino3@gmail.com, non si sono fatti attendere: «In 3 ore ho già ricevuto centinaia di mail - garantisce - Storie molto belle e sincere, trasversali, provenienti da mondi lontani ma con un denominatore comune. Ci vorrà del tempo, però, è tutto ancora in progress».



Non teme l'accusa di voler cavalcare una tragedia nazionale ancora troppo fresca?
«Non ho paura dei detrattori: ci saranno, come sempre. Ma un regista deve saper leggere il presente. Rossellini ha fatto Paisà quando ancora avevamo i tedeschi dentro casa...».

Quali sono le storie che la stanno colpendo di più?
«Quelle che raccontano la fine di un'esistenza che si consuma nel silenzio, senza poter neanche stringere una mano o salutare i propri cari. E poi ci sono i casi di sacrifici di tantissimi medici e infermieri impegnati nella lotta al coronavirus. Tutto questo vorrei raccontarlo in modo poetico, romanzato, ma cogliendo quello che c'è dietro questo magma di grande umanità, livellato da un nemico misterioso».

Che Italia sta emergendo?
«Un'Italia nuova, che deve abbandonare certi disvalori e ritrovare lo spirito di sacrificio delle vecchie generazioni, quelle che hanno attraversato la guerra e la ricostruzione. In un certo senso, stiamo tornando indietro. Stiamo riscoprendo il senso dell'accoglienza, della comunità».

Come vive questa nuova vita al tempo del virus?
«Sto in casa, ma ho il lusso di poter fare un lavoro che consente di osservare. Chi lavora dietro la cassa di un supermarket o al banco degli alimentari non ha questa fortuna».

La tecnologia può aiutare a superare la solitudine di questo periodo?
«Certo, usiamo i tablet, i telefonini per mantenere vivi quei rapporti umani che ultimamente avevamo un po' tralasciato. Nell'era dei social, era tutto odio e ostentazione fatua. Ora riscopriamo la necessità di dialogare. Come accadeva a Floyd quando faceva la videochiamata a sua figlia in 2001: Odissea nello Spazio di Kubrick».
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Ultimo aggiornamento: Venerdì 27 Marzo 2020, 08:55
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