Fortunato Cerlino: «American Night? Una giostra pulp in cui la vera bomba è l'arte»

Fortunato Cerlino: «American Night? Una giostra pulp in cui la vera bomba è l'arte»

di Michela Greco

“Pulp Fiction” mescolato al “Padrino”, immersi nel mondo dell’arte, con uno stile pop pieno di azione. La “American Night” evocata dal regista Alessio Della Valle (il suo film con Jonathan Rhys Meyers, Emile Hirsch e Paz Vega è in sala da qualche giorno) è un universo narrativo insolito per Fortunato Cerlino, diventato celebre per il temibile Don Pietro Sava”stano interpretato in Gomorra” e poi passato attraverso molte e diverse esperienze cinematografiche e seriali, anche internazionali. Proprio in questi giorni l’attore napoletano è sul set di “The Palace”, il nuovo lavoro di Roman Polanski.


Come è stato tuffarsi in questa strana notte americana, tra boss della mafia e mercanti d’arte?
«Quando un attore riceve una proposta di questo tipo è come se fosse portato alle giostre. Mi piaceva moltissimo l’idea di fare un film pieno di esplosioni e inseguimenti, ma allo stesso tempo molto impegnato, un vero film d’autore che, sotto una veste pulp, nasconde un segreto».
Cosa ha pensato del suo personaggio, un corriere che vorrebbe di più?
«L’ho adorato subito perché ha una caratteristica molto contemporanea: l’ambizione di poter controllare la propria vita, di darle un senso e una direzione. Il problema è che ha a che fare con qualcosa di più grande di lui, cioè l’arte. È un corriere, ma vorrebbe gestire la vera bomba, l’unica che costruisce e non distrugge, ovvero il gesto artistico».
Lei è uno dei pochi attori italiani che lavora moltissimo anche all’estero. Cosa porterebbe dall’Italia all’estero e viceversa in campo artistico?
«Quando andiamo all’estero ci festeggiano, sul set di “Hannibal”, Fishburne si mise a lavorare con me sulla scena e mi disse “finalmente posso lavorare con uno che improvvisa, che ha una cultura di questo mestiere”. Noi siamo maestri di questo mestiere, dobbiamo riconquistarne la consapevolezza».
 Sta lavorando con Polanski, che esperienza è?
«Nel mio nome c’è tanto del mio destino: nel mio mestiere ho avuto la fortuna di incontrare grandi maestri. Roman, che ha la sua età, è sempre l’ultimo a lasciare il set. Poi magari crolla a fine giornata, ma quando è lì ti cura il capello sugli abiti di scena, recita con te lavorando sulle battute, sul set diventa un bambino».
Su Polanski ci sono tante polemiche e molti hanno preso le distanze da lui in questi anni. Come si pone rispetto a questo?
«La sua è una vicenda che ha creato tanto dolore, da una parte e dall’altra. Sicuramente per mia natura tendo a empatizzare con le vittime, ma penso che Roman abbia detto tutto su questa storia ed espresso con chiarezza il suo sconforto per quanto accaduto in anni molto lontani, in circostanze e in un momento storico particolare. Questo non giustifica nulla, ma io faccio sempre un passo indietro rispetto alle tragedie».
Se vuoi vivere felice, il romanzo che ha scritto, diventerà un film. Si ritaglierà anche un ruolo?
«Probabilmente farò una piccolissima cosa, ma il lavoro dell’attore è una cosa e quello del regista è un’altra, la forma mentis che hai quando dirigi è diversa da quella che hai quando esegui.

Ci ho messo un po’ anche a decidere di prendermi la responsabilità della regia, in realtà».


Ultimo aggiornamento: Giovedì 26 Maggio 2022, 07:49
© RIPRODUZIONE RISERVATA