Fellini, cento anni dalla nascita. Sandra Milo: «L’ho amato dal primo istante e so che lo incontrerò di nuovo»

Fellini, cento anni dalla nascita. Sandra Milo: «L’ho amato dal primo istante e so che lo incontrerò di nuovo»

di Valeria Arnaldi
È durata diciassette anni la storia d’amore tra Federico Fellini e Sandra Milo, che ha recitato nei suoi film “8 1/2” e “Giulietta degli spiriti”. L’attrice ha celebrato il loro legame in versi - «Tutte le poesie d’amore sono per lui», assicura - nel libro “Il corpo e l’anima” (Morellini). 

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Come vi siete conosciuti? 
«È stato Ennio Flaiano a presentarci. Eravamo a Fregene. Fellini mi parve subito bellissimo, aveva lo sguardo avvincente, un sorriso quasi infantile, con i denti piccoli, una bocca innocente. L’ho amato dal primo istante. Dormo con la sua foto accanto». 
E lui? 
«Si è accorto di essersi innamorato solo dopo anni dall’inizio della storia. Mi disse che era pronto a lasciare Giulietta Masina, voleva passare il resto della vita con me. Avevo sognato quelle parole tante volte, ma non ho accettato la proposta. Ho avuto paura di sciupare un amore così bello con la quotidianità. Forse sono stata egoista. Per tutelare il mio sentimento, non ho pensato a lui». 
Come si comportava sul set? 
«Era molto naturale. Sapeva far sentire ogni persona come la sua preferita». 
E nel privato? 
«Era vicino al Fellini sognatore dei film. E faceva battute».
Il vostro primo bacio la stordì
«Sono svenuta per il turbamento. Ero così innamorata! Lui mi disse “Che bamboccia”». 
In passato, ha dichiarato che Fellini non viene ricordato nel modo giusto
«Si dice sempre che gli piacevano le donne con seno e sedere grosso. Non è vero. Le disegnava così come simbolo di allegria. Era un uomo di grande spiritualità. Lo amo come il primo giorno e sono certa che lo incontrerò di nuovo».


Fellini, cento anni dalla nascita. Turchetti, il medico curante: «Era un genio rinascimentale, la sua intelligenza era palpabile»
di Stefania Cigarini

Gianfranco Turchetti, autore con il giornalista Luciano Ragno di “Viaggio nell’ipertensione” e medico curante di Federico Fellini, lo ricorda per Leggo in occasione del centenario del grande regista.  
Quando nasce il suo rapporto con Fellini?
«A Roma, a fine anni Settanta, gli fui consigliato da una mia paziente»
Che effetto le ha fatto incontrarlo la prima volta?
«Mi sono tremate le gambe. E pecco per difetto di descrizione»
Lei è un cinefilo?
«Dilettante, ma piuttosto esperto, però di fronte ad un genio come Fellini non potevo che prendere appunti. Era un genio rinascimentale, un personaggio la cui intelligenza si poteva palpare»
Pensa di averlo ispirato?
«Ispirato no, diciamo che avevamo grandi affinità elettive e che durate le nostre conversazioni e dialoghi qualche spunto, volontario o involontario, l’ha tratto. Non saprei dire cosa, lui prendeva e rielaborava. La presunzione di essere stato suo amico e complice l’ho avuta e la mantengo».
Che paziente era?
«Ligio, ma curiosissimo. Con lui era un rapporto di consenso informato ante litteram, era una discussione e condivisione di tutto, ad armi pari»
Un ricordo
«Come ho detto era molto curioso, la prima domanda che mi faceva, ogni mattina, al telefono era Gianfranchino cos’hai sognato? A volte ero costretto, con tutto rispetto, ad inventarmeli i sogni»
Quanto le manca?
«Da morire, un lutto che ancora non ho elaborato. La conversazione con Fellini era per me nutrimento dell’anima, mi risolveva momenti di conflittualità personale. In questo senso il medico era lui, mi risolveva tutto con un Ma per amor di dio, Gianfranchino!».


L'amico scrittore Angelucci: «Fellini ha inventato una nuova visione di arte visiva e di libertà civile»
di Michela Greco

«Questo centenario è un appuntamento fondamentale per l'Italia intera, che ha l'occasione di ritrovare l'armonia intorno a un autore importante. Federico Fellini non ha solo inventato una nuova visione del cinema, ma ha contribuito alla libertà civile delle persone. Non era un autore che guardava al suo ombelico, ha dato una testimonianza completa della sua epoca». Con l'affetto dell'amico e il rispetto dello studioso, Gianfranco Angelucci, scrittore e giornalista che ha co-sceneggiato Intervista - e che ha pubblicato libri e creato film, spettacoli e programmi tv sull'opera del regista a cui è stato vicino per oltre 20 anni - celebra il centenario della nascita del maestro con Glossario Felliniano – 50 voci per raccontare Federico Fellini il genio italiano del cinema, in libreria dal 30 gennaio con Avagliano Editore.

Con che spirito ha scritto questo Glossario?
«Dopo tanti libri sul suo cinema ho voluto creare uno strumento agile. Tutti pensano di conoscere bene Fellini, ma in realtà pochi si sono interessati a lui in modo meno superficiale. Io lo racconto in capitoli, 50 voci che spaziano dal cinema, alle donne, ai collaboratori, alla sua poetica, una per ogni settimana dell'anno. Penso di aver dato una lettura sincera e limpida di Fellini, in cui trovano posto magnificenze e contraddizioni».

Quale delle voci considera più sorprendente?
«Delle 50 forse la penultima, sull'illusionismo: l'arte ha bisogno della finzione e, alla fine, la finzione contiene la verità. In Amarcord Fellini ci mostra il Rex che naviga su un finto mare fatto di teli di plastica. Anche se è frutto di un inganno, la finzione produce un'emozione vera e così sconfina nella magia».

Qual è il momento che ha passato con Fellini a cui è più legato?
«Tra i tanti, il primo incontro a Roma al Grand Hotel Plaza, che già conteneva un'aura di magia con quel leone alla base della scalinata. Fellini era imponente e poteva incutere timore ma si rivelò subito dolcissimo. A me, ragazzo che incontrava per la prima volta, disse subito "resta a pranzo con me, si mangia bene, fanno i cappelletti in brodo". E io, che mi stavo laureando su di lui, gli chiesi perché in quegli anni, il '68 e '69 in cui il mondo era in fiamme, lui si rifugiava in un soggetto del passato con Satyricon. Mi disse "ognuno fa ciò che sa fare. Se tutti facessero ciò che sanno fare il meglio possibile non avremmo più problemi"».


Fellini, cento anni dalla nascita. Chicchi, ex sindaco di Rimini: «Impostare il lavoro di ricerca sul suo straordinario lascito culturale»
di Stefania Cigarini

Giuseppe Chicchi ha creato la Fondazione Fellini ed è stato sindaco di Rimini, città natale del geniale regista. Racconta a Leggo dell'importanza della sua eredità culturale.

Come è nata la Fondazione Fellini?
«Lanciai l’idea nel discorso ufficiale che feci il giorno del funerale di Federico. L’anno dopo era operativa, ora è stata incamerata dal Comune di Rimini. Gli scopi sono quelli di studiare il lascito intellettuale dell’artista e mantenerne viva e attiva la memoria. L’abbiamo fatto con vari convegni biennali e con iniziative nel mondo. La missione implicita, quella di raccogliere il materiale iconografico e di lavoro di Federico»
Un risultato?
«Abbiamo acquistato e raccolto i circa 600 disegni che compongono il Libro dei Sogni».
Progetti?
«Il museo Fellini nel Castello Malatestiano»
Sulle celebrazioni del Centenario?
«Mi permetto di suggerire ai festeggianti una certa prudenza, il rischio della pataccata è abbastanza latente». 
Quale rischio?
La figura di Fellini è delicata, non so se le celebrazioni riusciranno a renderne la reale complessità. Lo vedremo dopo».
Il suo augurio?
«Che oltre ai naturali festeggiamenti, si possa impostare un lavoro di ricerca sull’opera che questo straordinario personaggio ha lasciato».
In quali direzioni?
«Le matrici culturali modernissime che Fellini ha utilizzato, la sua iconografia, la costruzione dell’immagine, la profondità di scavo fatto sull’Io moderno attraverso la psicanalisi».
Un aneddoto.
«Andammo trovarlo con Pierluigi Bersani, in ospedale, poco prima della fine. Era in sedia a rotelle e infermo nella parte sinistra. Dopo un po’, chiamò l’infermiere, si alzò in piedi e ci disse “Gran finale!”»
 
Ultimo aggiornamento: Giovedì 16 Gennaio 2020, 09:22
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