Favino come Alberto Sordi: «Il mio Gianni cinico e sbruffone, ma svela una parte che è in tutti noi»

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di Michela Greco

 Sbruffone, cinico, impunito: in una parola “sordiano”. Dopo tante trasformazioni sorprendenti (basti pensare a “Il traditore” e “Hammamet”), Pierfrancesco Favino si muove dalle parti di Albertone in “Corro da te”, commedia romantica diretta da Riccardo Milani, al cinema da giovedì prossimo, in cui fa coppia con Miriam Leone. Lui è Gianni, quarantanovenne alla guida di un’azienda di scarpe da corsa che punta alla massima performance in tutti i campi – in ufficio, nello sport e con le donne che, letteralmente, colleziona - e a ogni costo, soprattutto se il costo ricade sugli altri. Lei è Chiara, bellissima violinista che ha perso l’uso delle gambe dopo un incidente. Per una serie di equivoci, la incontra mentre finge di essere anche lui in sedia a rotelle, e nel frequentarla dà sfogo a tutte le sue bassezze. Basato sulla commedia francese “Tout le monde debout”, “Corro da te” è interpretato anche da Pietro Sermonti, Vanessa Scalera, Pilar Fogliati e Carlo De Ruggieri, mentre prossimamente vedremo Favino protagonista de “Il colibrì” di Francesca Archibugi e di “Nostalgia” di Mario Martone.
Favino, fino a che punto il personaggio di Gianni è simile all’originale francese?
«L’adattamento ha acuito l’aspetto cinico del mio personaggio per avvicinarlo di più al nostro mondo. Certi suoi comportamenti sono stati resi più ispidi, e anche verbalmente è stato adattato alla comicità italiana. Ho amato moltissimo i suoi difetti e credo sia un film liberatorio, anche per poter chiamare le cose con il loro nome».
Che intende?
«Trovo ipocrita l’atteggiamento di censura che spesso abbiamo su noi stessi, quando nascondiamo le nostre vere sensazioni pur di apparire buoni e corretti. Penso ci sia un Gianni in ognuno di noi, viviamo in una società per niente attenta a un certo tipo di diversità».
Come avete schivato i pericoli del politicamente scorretto?
«È stata molto importante la collaborazione con le associazioni dei disabili, ci siamo sentiti liberati grazie alla loro consulenza. Hanno trovato molto divertente la nostra rappresentazione».
Il suo Gianni non vuole proprio invecchiare. E lei?
«Non ho la sua stessa sindrome, 50 anni è una bella età. Io al momento non ho paura, ma non si sa mai, magari poi arriva di botto».
Ha superato da poco i 30 anni di carriera: se si guarda indietro, dove vede il punto di svolta?
«Non ce n’è stata una sola, ma tante. La prima con “El Alamein”, con cui ho capito che potevo davvero fare il mestiere dell’attore. Sicuramente sono stati importanti “Le chiavi di casa” e “Romanzo criminale”, ma anche i film tv e, senza dubbio, Sanremo. Ognuna di queste tappe ha rappresentato un momento di maturazione e mutamento».
Come si sente in questi giorni difficili, in cui siamo passati dalla paura della pandemia a quella per la guerra?
«Provo paura, tristezza e soprattutto un brutto senso di impotenza, mi preoccupa sapere di lasciare alle mie figlie un posto non pacifico, problematico.

In un certo senso è anche difficile parlare di questo film che fa ridere, ma sono orgoglioso di far parte di quelli che raccontano storie. Spesso mi chiedo, a chi sono utile? E mi rispondo che la narrazione è fondamentale per capirci, è vitale, e non bisogna sentirsi in colpa».


Ultimo aggiornamento: Sabato 12 Marzo 2022, 13:42
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