Emmanuelle Seigner, la moglie di Roman Polanski: «Essere accusati non significa essere colpevoli»
di Michela Greco
“L’ufficiale e la spia” parla di una giustizia che sembra spesso lontana dalla verità.
«Sì, il film mostra che la verità è sempre qualcosa di approssimativo e lo è ancor di più in questo periodo storico, con i social che rendono tutto più complicato e il diffondersi delle fake news. Parla anche del razzismo, dell’antisemitismo, in generale dell’odio verso il diverso. Purtroppo sono temi universali».
Il film arriva in un momento delicato...
«Roman voleva farlo da molto tempo, ma era costoso ed è stato difficile. Alla fine è stato realizzato ora, in un mondo in cui il rapporto con la verità è più che mai complesso. Io non voglio parlare di me, della mia piccola storia che è poca cosa rispetto, ad esempio, a quella di chi viene dalla Siria o di chi attraversa il mare con i barconi, mentre è importante raccontare questa vicenda proprio perché ha un valore sociale».
Alla fine del film il suo personaggio rifiuta di sposare Picquart. Lei oggi, dopo 30 anni, direbbe di nuovo sì a Polanski?
«Non ero una donna da matrimonio, ho sposato Roman perché lui ci teneva e perché è un bene per i figli. So che alcune donne si sentono rassicurate dal matrimonio, per me è solo un pezzo di carta, infatti non porto nemmeno la fede: l’ho indossata per 10 minuti e poi l’ho buttata. Mi sono sempre guadagnata la vita, quando ho conosciuto Roman facevo la modella e non avevo bisogno di soldi, sono sempre stata indipendente».
In passato ha lavorato con registi italiani, ripeterebbe l’esperienza?
«Sì, mi piacerebbe molto lavorare con Sorrentino, Garrone e Guadagnino. Adoro l’Italia, di cui mi piace tutto, anche la mentalità: è più sensata che nel resto del mondo, gli italiani sono più sofisticati e rilassati. Il vostro è un grandissimo popolo, anche se naturalmente ci sono problemi, come ovunque nel mondo».
Ultimo aggiornamento: Martedì 19 Novembre 2019, 13:13
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