Viggo Mortensen: «Divento italoamericano per ridere del razzismo»
di Alessandra De Tommasi
Ormai la si vede al cinema una volta ogni due anni, come mai?
«Sono diventato molto selettivo ma questa storia era necessaria e andava raccontata, soprattutto nell'America di oggi. Se non consideriamo l'ambientazione dell'epoca, possiamo vedere tranquillamente che sul fronte del razzismo non si è fatto abbastanza e la strada è ancora lunga».
Il grande schermo non è solo intrattenimento?
«Assolutamente no. La commedia, poi, offre uno strumento fondamentale per leggere la realtà: la risata ci permette di arrivare al cuore della gente e da almeno un decennio non vedevo il pubblico in sala tanto rapito».
Nessun dubbio ad accettare il ruolo?
«Ne ho avuti a bizzeffe: non mi sentivo all'altezza d'interpretare un italo-americano, visto che non lo sono (anche se parlo un po' la vostra lingua), soprattutto perché al cinema ne abbiamo visti di iconici. Poi però mi sono fatto coraggio, visto che non riuscivo a leggere e rileggere il copione».
Anche lei scrive lettere come Tony?
«Certo, a mio figlio Henry mando lettere e cartoline ne ha talmente tante da non sapere dove metterle. Amo imprimere le emozioni di un momento con carta e penna, con la mia grafia, in modo personale: mi sembra quasi di fermare il tempo».
Come prepara un ruolo?
«Mi circondo di cianfrusaglie, libri, articoli di giornale, video d'epoca, post-it e note ovunque. Me le porto dietro fino all'inizio delle riprese, quando finalmente capisco il tono del personaggio».
Cosa le piace fare lontano dal set?
«Ho mille passioni, dalla musica alla fotografia passando per l'equitazione. Non sto mai fermo e mi frullano in mente mille idee, copioni che potrei dirigere o scrivere».
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Ultimo aggiornamento: Martedì 25 Settembre 2018, 09:14
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