Carlo Verdone: «Lavoro a una serie tv, ma ho nostalgia del cinema e delle commedie»

Verdone: «Lavoro a una serie tv, ma ho nostalgia del cinema e delle commedie»

di Michela Greco
ROMA – «A Roma non c’è più quello che io chiamo il “teatro di piazza”, i mercati sono stati in gran parte rimpiazzati dai supermercati, le persone non si parlano più da finestra a finestra, i romani sono stati deportati in periferia... la società è cambiata e oggi è più difficile fare commedia». C’è nostalgia nelle parole di Carlo Verdone, che ieri a Palazzo Altieri ha presentato “Uno dieci cento Carlo Verdone”, sontuoso volume fotografico che raccoglie 100 scatti di Claudio Porcarelli, realizzato in collaborazione con Banco Bpm in occasione dei 40 anni di carriera dell’attore-regista.
C’è malinconia per una Roma che non c’è più, per un futuro incerto – «Dopo la guerra c’erano i film più belli del mondo e una fantastica volontà di riscatto, oggi c’è un Medioevo senza orizzonti», dice - ma anche per la perdita progressiva delle sale cinematografiche, che Verdone vive con dolore. «Non so però se i giovani capiscano cosa stiamo perdendo, perché i cinema sono luoghi di condivisione e aggregazione, ma queste cose oggi non si vogliono più. Ormai la condivisione è sul web, è virtuale».
Sulla questione Netflix, però, è piuttosto laico: «Non si può fermare l’evoluzione e se sarà un’opportunità o una minaccia dipenderà proprio da come si comporterà Netflix. Io ho da poco presentato alla piattaforma il pilota di una serie tv che ho scritto con Guaglianone e Menotti: a loro è piaciuta, ma sarà Aurelio De Laurentiis a decidere se andrà lì o su Sky».
Intanto Verdone sta scrivendo il suo nuovo film con Giovanni Veronesi: «Non posso dire molto, solo che lo dirigerò e ci reciterò. Sarò uno dei sei o sette protagonisti di una storia corale». Si tratterà del suo ventisettesimo film da regista, nuova tappa in una lunga carrellata di personaggi e racconti che il regista rievoca con piacere mentre sfoglia il libro a lui dedicato: «In quante anime mi sono calato! – esclama – Mi emoziona vedere queste immagini e tornare a pensare a Grande, grosso e Verdone, a Gallo cedrone o a degli sketch tv che avevo dimenticato. Ricordo che venivo preso da un furore creativo, mi annullavo nei personaggi e non provavo mai: la mia forza è la naturalezza. Il monologo finale dell’emigrante in Bianco, rosso e Verdone, ad esempio, non l’avevo mai provato: mi chiusi 20 minuti in una stanza e ripercorsi tutti i disastri che gli erano capitati nel viaggio per andare a votare, poi uscii, battei il ciak e partii a raffica, finendo in un bagno di sudore. Era buona la prima».
In seguito Carlo Verdone ha spesso duettato con protagoniste femminili: «Quando recito con le donne – confessa - sono di una fragilità estrema. Il comico non deve essere trombante, altrimenti non fa ridere, e io ho sempre rappresentato uomini fragili nei rapporti con l’altro sesso perché sono cresciuto all’epoca del femminismo, in cui l’uomo veniva messo all’angolo». A suggellare 40 anni di carriera, recentemente Verdone è stato persino nominato Grande Ufficiale della Repubblica Italiana dal presidente Mattarella: «Quella è stata una giornata stranissima – racconta ridendo – prima sono stato insignito di questa onorificenza, poi ho perso il telefono in taxi e ho passato un pomeriggio infernale, trasformandomi in breve da Grande Ufficiale a miserabile in coda per una sim».
Ultimo aggiornamento: Giovedì 22 Novembre 2018, 08:43
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