Un amore così grande, ma il film non prende Il Volo
di Boris Sollazzo
Vladimir Rovelli (Giuseppe Maggio, faccia e presenza scenica che meritano una seconda possibilità) è figlio di un liutaio che lo ha abbandonato in Russia. Torna a Verona dopo la morte della madre, che lo ha cresciuto da sola. Ha un grande talento - qui nel simulare in un pessimo playback ma con ottima mimica il canto eccellente di Piero Mazzocchetti - e una ferita nel cuore, la promessa di rendere onore al talento e alla musica che la madre ha amato più di se stessa.
Se l'operazione simpatia non riesce, ancor meno sa costruire quel romanzo di formazione e riscatto che vorrebbe essere, tra frasi fatte - alcune sembrano prese di peso dai giudici di Masterchef - e scene madri che diventano matrigne anche perché Gianluca, Ignazio e Piero parlano come Qui, Quo e Qua, finendo le frasi l'uno dell'altro e spartendosi sguardi densi e primi piani intensi. E ti dispiace per quegli attori, bravi, che qui da comprimari predicano nel deserto, da Castellano a Polizzy Carbonelli, ingabbiati da una scrittura banale, una fotografia da soap, una regia e un montaggio da manuale. Bignami, però. Eppure con meno pretenziosità si poteva portare a casa un prodotto dignitoso, piacevole, appassionante. Perché la musica e le favole sanno esserlo. Operazione commerciale, turistica e promozionale, Un amore così grande, semplicemente non è un film. Al massimo, uno spot.
Ultimo aggiornamento: Lunedì 8 Ottobre 2018, 09:45
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