Il cervello e i ricordi: ecco come mettiamo a fuoco i più deboli

Il cervello e i ricordi: ecco come mettiamo a fuoco i più deboli

di Antonio Bonanata
​Il nostro cervello registra quotidianamente una enorme quantità di immagini, come tante fotografie scattate in successione.

Di queste, conserviamo solo un debole ricordo, dato il grande ammasso di dati da immagazzinare. Solo le “foto” più shoccanti o, in generale, emotivamente forti (nel bene o nel male) ci restano impresse con maggior forza, potendo continuare a ricordarle anche per mesi o anni.



Ma gli altri ricordi? C’è un sistema con cui si possono richiamare alla mente anche quelli meno significativi, magari legati a dettagli superflui? Uno studio pubblicato su “Nature” e condotto da un’equipe dell’Università di New York, capeggiata dalla psicologa Elizabeth Phelps, cerca ora di far luce su uno dei tanti misteri della mente: il meccanismo di memorizzazione dei ricordi.



Il nucleo centrale della ricerca sta nel fatto che i ricordi più deboli, quelli non legati a emozioni forti, vengono messi a fuoco dal nostro cervello, e quindi visualizzati con maggiore chiarezza, se esperienze successive connesse a queste memorie portano con sé implicazioni emotive.



Per dimostrare l’assunto, la professoressa Phelps ha condotto un esperimento su alcuni volontari, i quali si sono sottoposti alla visione di tre serie successive, da 60 immagini ciascuna, di utensili e animali. Dopo aver guardato in tutta naturalezza la prima serie, ai volontari veniva mostrata una seconda e diversa successione, dove le categorie “utensili” e “animali” erano associate a una piccola scossa elettrica sul polso. Il risultato veniva confermato in una terza serie di immagini dal sudore provocato nel vedere alcune foto, evidente richiamo all’emozione suscitata dalla scossa elettrica sul polso.



«Il nostro lavoro – ha detto la professoressa Phelps – rende evidente un meccanismo generalizzato di “rinforzo mnemonico retroattivo”, grazie al quale l’informazione irrilevante può essere retroattivamente riconosciuta come rilevante, e per questo ricordata selettivamente, se un’altra informazione, concettualmente connessa, acquista notorietà in futuro».



Ma, bisognerebbe aggiungere, in un futuro non troppo lontano, dato che gli scienziati hanno utilizzato dati a un massimo di 24 ore dall’inizio dell’esperimento. Se il meccanismo funziona anche dopo più tempo, non è dato saperlo. Le foto utilizzate nella prova non si ripetevano mai, pertanto l’unico nesso che aveva il cervello per rinforzare la memoria era di alto livello: una categoria astratta (utensili e animali).



È l’unione di questa categoria astratta con lo shock emotivo (o, meglio, elettrico) che permette di rafforzare l’antica memoria. La professoressa Phelps e il suo gruppo ipotizzano che i ricordi deboli, prima di sapere quali di essi sono importanti, vengono marcati da una sorta di etichetta (ad esempio, quella che li categorizza come utensili). Lo stimolo emotivo successivo “segue” questa etichetta per recuperare il ricordo completo.
Ultimo aggiornamento: Giovedì 22 Gennaio 2015, 18:34