Liste d'attesa e inefficienza, la crisi della sanità italiana. Lorenzin: "Divario inaccettabile tra le Regioni"

Liste d'attesa e inefficienza, la crisi della sanità italiana. Lorenzin: "Divario inaccettabile tra le Regioni"

di Antonio Caperna
ROMA - Dal numero di parti cesarei primari fino ai tempi per un'operazione di frattura al femore. Le performance del Sistema sanitario nazionale migliorano ma le differenze tra le Regioni, e soprattutto all'interno delle stesse, permangono.

A rilevarlo è l'edizione 2014 del Programma Nazionale Esiti (PNE) sviluppato dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari (Agenas) per conto del Ministero della Salute.





Una fotografia su efficacia, sicurezza, efficienza e qualità delle cure prodotte dagli ospedali italiani, analizzandone 129 indicatori. Si sa che dove si fanno un numero maggiore di interventi chirurgici, si hanno anche esiti di cura migliori. Eppure una struttura ospedaliera su 4 è ancora sotto la soglia di sicurezza per i parti ed i tumori, ma aumentano le terapie efficaci e gli interventi chirurgici effettuati in tempo. L'indagine rappresenta «uno strumento operativo, per il miglioramento delle performance, della qualità delle cure e per l'analisi dei profili critici». Tuttavia evidenzia «forti disomogeneità nell'efficacia e nell'appropriatezza delle cure tra Regioni, aree, ospedali, con importanti variazioni temporali».



E ci sono molte strutture che eseguono un numero esiguo e sotto gli standard di interventi. Un esempio è il campo oncologico, dove per il tumore alla mammella le linee guida internazionali fissano lo standard di qualità minimo in 150 interventi annui. In Italia però solo il 13% delle strutture (98 su 761) l'ha superato. E per i tumori di colon, polmone e stomaco, in media, appena il 10-20% delle strutture rispetta gli standard minimi di volume. Un argomento che sarà toccato a Roma nel week end durante il congresso nazionale degli oncologi italiani (AIOM).



Il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin ammonisce infatti i direttori generali: «Devono adeguarsi agli standard, non è un optional. Il rispetto degli indicatori deve essere un dovere per le amministrazioni. Inaccettabili ad esempio i problemi di ricezione dei dati da alcune Regioni oppure che ci siano tante differenze tra loro». Differenze emergono anche nel caso dei parti cesarei, i cui numeri segnano un miglioramento (dal 29% del 2008 al 26% del 2013) ma con forti differenze tra il Nord (20%) e il Sud (40% con punte del 50% in Campania). Gli standard sono fissati al 25% per le maternità con oltre mille parti e al 15% sotto i mille.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 22 Ottobre 2014, 11:01
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