Samantha Cristoforetti, la prima astronauta italiana: «Gravity, film meraviglioso, ma che errori»

Samantha Cristoforetti, la prima astronauta italiana: «Gravity, film meraviglioso, ma che errori»

di Paolo Ricci Bitti

Dalle mutandine-culotte con microcanottiera di Sandra Bullock allo zaino-jet di George Clooney, dalle improbabili correnti gravitazionali ai portelloni “invertiti” nelle stazioni spaziali.

L’astronauta Samantha Cristoforetti smaschera una per una tutte le clamorose incongruenze del film “Gravity” ma conclude la sua recensione con un consiglio: «Andate a vederlo: è meraviglioso!» Di più: «Sarete inevitabilmente commossi dalla bellezza estetica del film», si legge nel suo diario on line sul sito dell'Agenzia spaziale europea che giorno dopo giorno raccoglie sempre più visitatori, così come i suoi account su Twitter e Facebook. Logico: il capitano pilota cresciuto sui monti del Trentino il prossimo anno diventerà la prima italiana a viaggiare in orbita e come si può perdere il racconto di un’astronauta vera a proposito degli astronauti-attori del film di Alfonso Cuarón, premiato con una cascata di stelle dalla critica e con la scalata rapidissima del box office? Il film che ha recuperato dall’hard disk che abbiamo nel cuore molti dei file di 2001 Odissea nello spazio?

Paolo Ricci Bitti

PENSIERI PROFONDI

Come il più consumato dei critici, la Cristoforetti attacca la web-recensione in 16 punti con una serie di complimenti: «La riproduzione dell’hardware (dei veicoli spaziali e dei loro interni, ndr) è incredibilmente accurata e il film è un’ottima occasione per visitare le macchine dell’umanità nello spazio: dal telescopio Hubble, alla Stazione internazionale (Iss) alle Sojuz. Così, grazie anche al 3D, andate al cinema e quando uscite guardate il cielo e pensate che tutte quelle cose esistono per davvero nell’orbita terreste. E lasciate che quel pensiero arrivi in profondità».



«E adesso, ok, ecco quello che volete veramente sapere» incalza l’astronauta. «Il film non è realistico per una serie di impossibilità fisiche. Volare da Hubble all’Iss con il jetpack? Andiamo, sono in orbite diverse: altitudini distanziate, velocità orbitali differenti, piani sfalsati. I calcoli per i trasferimenti orbitali fuori-piano possono darvi un mal di testa: non c’è nulla di intuitivo e serve molto propellente, non basta un minizaino con pochi minuti di autonomia. Per non dire dello spostarsi usando un... estintore: in realtà è vera quella pubblicità che diceva: la potenza è nulla senza controllo. E i satelliti geostazionari per le comunicazioni sono in orbita a 36mila km di altezza e non possono essere abbattuti da detriti che volano in orbita terrestre bassa».



C’è poi il momento più drammatico del film: è quando il veterano comandante George Clooney-Matt Kowalsky guarda per l’ultima volta negli occhi la specialista (e, al solito, strepitosa) Sandra Bullock-Ryan Stone e si suicida sganciandosi da essa per darle una possibilità di sopravvivenza. Solo un portento come Clooney poteva riuscire a darci tanti brividi con quegli sguardi a malapena intuibili da dietro il casco spaziale. Epperò spiega Samantha: «È, sì, di grande impatto emotivo vederlo fluttuare via nel nero infinito dello spazio sotto l’incantesimo di qualche forza magica ma, ehm, in realtà, non sarebbe accaduto niente, Clooney-Kowalsky avrebbe continuato a fluttuare restando proprio lì».

Nello spazio i movimenti degli astronauti attorno alle stazioni avvengono appunto a velocità ridottissima, senza rimbalzare qua e là come palle da rugby.



EFFETTI SPECIALI

Realizzato spendendo 80 milioni di dollari e utilizzando anche strabilianti filmati forniti (molto o poco scaramanticamente, fate voi) dalla stessa Nasa, il film “toppa” nella riproduzione di una delle parti più importanti delle stazioni: i portelli degli airlock (camere di compensazione, ndr). «La dottoressa Stone - scrive l’astronauta dell'Agenzia spaziale europea - sembra facilmente in grado di fare irruzione in ogni veicolo spaziale grazie ai portelli che si aprono verso l’esterno. In realtà fuori non ci sono maniglie e i portelli si aprono verso l’interno, altrimenti non sarebbero molto sicuri, eh? E prima di aprirli va depressurizzato l’airlock, altrimenti sarebbe molto difficile azionarli». Le evoluzioni degli astronauti nella memorabile scena di apertura di 13 minuti sono inoltre apparse un po’ troppo disinvolte: «Da Cirque du Soleil: sfortunatamente le tute spaziali sono molto rigide con nodi metallici che vincolano i movimenti. E il campo visivo è limitato». Un limite, quello della visibilità del casco, che ricorda il drammatico inconveniente (questo vero, verissimo) capitato il 16 luglio a Luca Parmitano, che si è trovato il casco invaso dal liquido della sottotuta durante una passeggiata spaziale.



REPARTO INTIMO

Giusto, l’abbigliamento: «Dove vorrei veramente mettere le cose in chiaro - scrive ancora la Cristoforetti - è nel reparto biancheria intima. La canottiera e i pantaloncini indossati dalla Bullock sono, beh, una sorprendente dichiarazione sulla “moda” degli astronauti: in realtà durante le “passeggiate” spaziali si indossa biancheria intima a maniche lunghe molto fuori moda, ma molto più protettiva, e una sottotuta termica che è una maglia con circa 100 metri di tubicini che servono per mantenere la temperatura corporea mentre fuori si passa da più cento gradi a meno 120». Ecco, di tutte le incongruenze, questa non ci sentiamo proprio di condannarla. E poi la stessa Sigourney Weaver-Ellen Ripley ci aveva abituati a questa succinta mise sotto la tuta spaziale in Alien. Ancora più leggero, diciamo pure inesistente, molti anni prima, l'abbigliamento di Jane Fonda-Barbarella che si spogliava di casco e tuta argentata nell'indimenticabile incipit del film di Roger Vadim.



CHI E' SAMANTHA CRISTOFORETTI

Intanto a vedere Gravity si comprende perché Samantha Cristoforetti abbia aggiunto il cinese alle cinque lingue (russo compreso) che già parlava: non vuole mica trovarsi a pigiare a casaccio i testi delle navicella spaziale appunto “Made in China” affidandosi alla conta Ambarambà Cicci Coccò. Eppure, anche se non finirà mai “lost in translation”, il capitano pilota dell’Aeronautica militare è una tipa di poche parole. Fisico minuto, occhi e capelli (corti) castani, tostissima, ma, almeno finora, assai riservata: è per quello che la freschezza della sua recensione on line al film rivela nuovi versanti della sua personalità.



Nata 36 anni fa a Milano, ma cresciuta a Malé, in Val di Sole, la prima astronauta italiana (terza in Europa, 59a nella storia rispetto ai 489 i maschi) ha bruciato sempre le tappe: diploma al liceo scientifico di Trento, laurea in Ingegneria a Monaco di Baviera, Sciabola d’onore (un riconoscimento da top gun) all’Accademia aeronautica di Pozzuoli. Un fenomeno: prendere le “ali” e diventare pilota da caccia accumulando centinaia di ore di volo in questi ultimi anni (sempre meno gli aerei disponibili) rappresenta una vera impresa per uomini e donne, ma poi Samantha si è superata venendo scelta nel 2009 tra i sei astronauti dell’Agenzia spaziale europea. I candidati, giusto per saperlo, tutti con titoli stratosferici, erano oltre 8.500.

Nel suo blog, nel classico stile aeronautico-spaziale ha già cominciato il conto alla rovescia (lettera L seguita dal numero dei giorni che manca al lancio): il 30 novembre dell’anno prossimo sarà sulla navicella Soyuz che la porterà sulla Stazione spaziale internazionale i cui moduli abitativi sono costruiti per oltre il 50% da aziende italiane coordinate dall’Agenzia spaziale italiana. Rimbalzando per il durissimo addestramento tra Russia, Germania, Francia e Stati Uniti, Samantha non ha più tempo per le arrampicate in montagna, le immersioni subacquee, i saggi sulla tecnologia e la nutrizione, ma almeno due ore per vedere Gravity le ha trovate.


Ultimo aggiornamento: Lunedì 20 Giugno 2022, 13:56
© RIPRODUZIONE RISERVATA