Hiv, col Covid sempre meno test: «Si scopre troppo tardi ma in Italia circola molto»

Nella Giornata mondiale della lotta all'Aids arriva un allarme sulla circolazione del virus e sulle diagnosi

Hiv, col Covid sempre meno test: «Si scopre troppo tardi ma in Italia circola molto»

Covid, la pandemia scatena anche l'allarme sull'Hiv. Nella Giornata mondiale della lotta all'Aids, infatti, arrivano dei dati preoccupanti: a causa del coronavirus, infatti, si fanno sempre meno test e la diagnosi di sieropositività arrivano sempre più tardi.

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Allarme Hiv: «In Italia meno test e diagnosi tardive»

Gli ultimi dati forniti dall'Istituto Superiore di Sanità relativi al contrasto all'infezione da Hiv in Italia documentano un calo delle nuove infezioni. «Questo dato è però legato al fatto che, con la pandemia, c'è stato un minor ricorso ai test» ha commentato Claudio Mastroianni, professore ordinario di Malattie Infettive, all'Università Sapienza di Roma e Presidente di Simit, la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, che in questi giorni al Centro Congressi Mico di Milano vive la ventesima edizione del suo congresso. «Il dato che invece ci preoccupa - ha aggiunto Mastroianni - è che purtroppo ancora oggi quasi il 60% delle persone scopre l'infezione da Hiv in fase tardiva, quindi è molto importante aumentare i test, avendo a disposizione anche in questa malattia farmaci estremamente potenti, tollerabili e che possono garantire uno stato di benessere e di salute alle persone colpite da infezione da Hiv durante tutta la loro vita». 

Allarme Hiv: «In Italia circola ampiamente»

«L'attenzione per il Covid ha diminuito quella per l'Hiv, che però continua a circolare ampiamente in l'Italia. Quello che abbiamo osservato nel 2020 è che le persone diagnosticate, nel 60% dei casi, erano in realtà state infettati anni prima, quindi si scopre di esser sieropositivi già in fase avanzata di malattia». Lo ha detto Barbara Suligoi, direttore Centro Operativo Aids (Coa) dell'Istituto Superiore Sanità (Iss), intervenendo a «Che giorno è», su Rai Radio1. Per Suligoi «c'è bassa percezione della circolazione dell'Hiv, si ritiene che sia un problema legato agli anni '90 o ad alcuni sottogruppi di popolazione. Ma non è così, l'Hiv circola ed è legato a comportamenti sessuali a rischio». Suligoi ha spiegato che «oggi l'incidenza più elevata da infezione da Hiv è tra i giovani tra i 25 e i 29 anni, tra i quali c'è una bassa percezione del rischio Hiv. Per questo i giovani vanno sensibilizzati all'utilizzo del preservativo». «Si pensa - ha precisato ancora il direttore del Coa - che l'Aids sia un problema dei rapporti omosessuali . In realtà oggi interessa moltissimo eterosessuali ed omosessuali. Anzi, le persone che si fanno il test in ritardo è molto più elevata tra gli eterosessuali».

Allarme Hiv: «Più diffuso tra i giovani per bassa percezione del rischio»

«C'è una bassa percezione della circolazione dell'Hiv, si ritiene che sia un problema legato agli anni '90 o ad alcuni sottogruppi di popolazione.

Ma non è così, l'Hiv circola ed è legato a comportamenti sessuali a rischio. Si pensa che l'Aids sia un problema dei rapporti omosessuali, in realtà oggi interessa moltissimo eterosessuali ed omosessuali. Anzi, la quota di persone che si fanno il test in ritardo è molto più elevata tra gli eterosessuali». Lo spiega Barbara Suligoi, direttore Centro operativo Aids dell'Istituto superiore di sanità, ospite di 'Che giorno è' su Rai Radio1, sottolineando che «l'incidenza oggi più elevata da infezione da Hiv è tra i giovani tra i 25 e i 29 anni, tra i quali c'è una bassa percezione del rischio Hiv. Per questo i giovani vanno sensibilizzati all'utilizzo del preservativo». «L'attenzione per il Covid ha diminuito quella per l'Hiv, che però continua a circolare ampiamente per l'Italia. Quello che abbiamo osservato nel 2020 è che le persone diagnosticate, nel 60% dei casi, erano in realtà stati infettati anni prima - rimarca Soligoi - quindi si scopre di esser sieropositivi già in fase avanzata di malattia».

Hiv, Bassetti: «Serve più prevenzione»

«Alle persone dobbiamo dire che non esiste solo il Covid, che ci sono malattie come l'Hiv e le altre malattie sessualmente trasmissibili, che si prevengono non con la mascherina ma con il profilattico». Matteo Bassetti, direttore della clinica di Malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova, lancia un appello soprattutto ai giovani in apertura del convegno organizzato a palazzo Tursi «Oltre il Covid: giornata mondiale della lotta all'Aids». «A oggi la prima via di trasmissione dell'Hiv e dell'Aids è quella sessuale - continua Bassetti - quindi su questo dobbiamo concentrarci, dobbiamo uscire da quello che per tanti anni è stato lo stigma di questa malattia e dobbiamo tornare a dire che si deve fare sesso sicuro». I dati sui nuovi contagi da Hiv in Italia vedono i numeri 2020 dimezzati rispetto al 2019 ma - spiega il virologo - «è evidente che sono stati fatti meno test, c'è stata una minore attenzione anche a questo problema, sappiamo cosa è successo nell'ambito dell'oncologia, sappiamo quello che è successo nell'ambito delle malattie cardiovascolari, l'Hiv è uno degli altri orfani del Covid, non abbiamo un vaccino contro l'Hiv ma abbiamo terapie e farmaci che consentono di vivere, però è importante che siano fatte diagnosi precoci e quindi è importante fare i test». Il professore conclude: «Noi a Genova abbiamo chiuso gli ambulatori per solo due mesi ma dobbiamo tornare a parlare di questo argomento perché i ragazzi devono farsi il test, i ragazzi devono sapere che è una malattia ancora presente». Bassetti è convinto che Genova possa diventare «capitale italiana delle malattie infettive, grazie al gioco di squadra di tutti coloro che si occupano di malattie infettive, ancora una volta il modello Genova può essere un modello anche per l'Italia».


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 1 Dicembre 2021, 14:41
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