Operato per un tumore, resta paralizzato e muore. La vedova: «Me lo hanno ucciso»

Operato per un tumore, resta paralizzato e muore. La vedova: «Me lo hanno ucciso»
A.M., un 73enne napoletano, è deceduto nell'ospedale San Paolo di Napoli il 17 aprile 2017, 20 minuti dopo il suo attivo nel pronto soccorso. Doveva servire a curare la neoplasia pancreatica che lo stava tormentando ma si rivelò l'inizio della fine quell'intervento chirurgico, ritenuto la causa della paralisi delle gambe e, per la famiglia, anche la paralisi dell'intestino che avrebbe causato la morte del loro congiunto. A distanza di quasi tre anni e mezzo dalla quella morte, la Procura di Napoli ha citato a giudizio tre medici coinvolti nella vicenda, che compariranno il prossimo settembre a cui vengono contestate le lesioni colpose in cooperazione.

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Un'ipotesi di reato che la famiglia del 73enne, soprattutto dalla vedova, rigetta con forza. La donna, che vuole rimanere anonima, chiede giustizia: «I medici legali sostengono che sarebbe morto a causa del tumore ma invece me lo hanno ucciso». A.M. venne sottoposto a un intervento chirurgico curativo il 2 marzo 2017, a causa di quel tumore che lo tormentava. Dalla sala operatoria, però, ne uscì con un ematoma epidurale e gravi problemi motori che poi si trasformarono in paralisi. Tutto a causa della rimozione accidentale di un catetere. I medici non si accorsero delle conseguenze causate da quella rimozione, cioè della raccolta ematica e della pressione che esercitava, ritenuta causa della paralisi: invece di una risonanza magnetica spinale di controllo avevano disposto una tac spinale-dorsale. La presenza dell'ematoma, che emerge il 7 marzo (5 giorni dopo la prima operazione), costringe i chirurghi ad operare nuovamente per rimuovere il versamento.

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Forse, se l'intervento fosse stato più tempestivo, si sarebbe potuta ottenere una recessione. Il paziente viene trasferito in una clinica di Fuorigrotta per un trattamento riabilitativo. Ma la situazione precipita e il 17 aprile il 73enne muore. «Riteniamo - sottolinea l'avvocato Sergio Pisani, legale della vedova - che la morte sia una conseguenza di quell'errore medico e non dalla neoplasia, che non era un adenocarcinoma ma una neoplasia papillare mucinosa intraduttale (IPMN). Una grossa differenza, - spiega - visto che nel primo caso la sopravvivenza a 5 anni è bassa mentre sale vertiginosamente nel secondo».

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Secondo quanto si legge nella relazione redatta dal consulente di parte Saverio Terracciano, «l'arresto cardio-circolatorio è, con elevato criterio di credibilità razionale, riconducibile alla severa ischemia midollare diffusa» e quindi, conclude la perizia, «ci sono multipli elementi per ammettere difetti di condotta tecnico-professionale dei professionisti nella produzione di un danno neurologico...
e della conseguente drammatica evoluzione clinica, culminata nell'arresto cardiocircolatorio». Per il consulente A. M. sarebbe stato ucciso da un'ischemia midollare che nulla a che fare con il tumore. Se ne riparlerà a settembre 2020, davanti a un giudice monocratico del Tribunale di Napoli.

Ultimo aggiornamento: Sabato 14 Dicembre 2019, 16:18
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